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Tutta la musica che ho dimenticato


Credo di avere ricevuto il mio imprinting musicale quando avevo due anni e mezzo circa. E' il primo ricordo di cui ho memoria, non c'è niente prima.

Sono nella camera da letto dei miei, e sul comodino di papà campeggia una radio a valvole abbastanza contenuta di dimensioni, di colore bianco panna, gli angoli arrotondati, due manopole grandi e bombate la scala delle frequenze retroilluminata di arancione e il cursore di sintonia di colore verde. Io non la tocco perché so che non lo devo fare e forse ne ho anche paura e se prendo la scossa?
Una volta la prenderò a casa di nonna, mettendo due dita nella presa della corrente.
Per fortuna all'epoca in Italia c'era ancora la corrente normale a 125 volts altrimenti non so se oggi sarei qui a scrivere.
Quando sono dinanzi la radio accesa all'improvviso sento questa musica che mi torce i budelli della pancia come non mai. E' un brano con una sezione di fiati dinamica e un riff trifasico, dove una stessa sequenza di note viene ripetuta tre volte con toni discendenti, eccoli.



Si tratta di A Taste of Honey di Bobby Scott e Ric Marlow nell'arrangiamento capolavoro di Herb Alpert e The Tijuana Brass che per l'arrangiamento vinse un Grammy.

Come spiegarvi l'effetto di quella sequenza di note sulla mia mente bambina? Ero un pc che riconosce il codice macchina, un puzzle che accoglie in sé la tessera mancante, un filologo che trova la chiave per decifrare una lingua sconosciuta. La musica parlava, mi parlava, mi chiamava per nome e mi diceva sono solo per te.

Da allora in poi qualunque musica che ascolterò che abbia anche alla lontana quella ripetizione tritonica mi piacerà irresistibilmente.

Solo un esempio, talmente pertinente da costituire un omaggio: Nothing You Can Do About It nella versione dei Manhattan Transfer.


Sequenze a tre note e fiati, questo il mio imprinting.

Il mio approccio con la musica è sempre stato così viscerale da rasentare la golosità maniacale.
Se una canzone mi piace sono capace di ascoltarla 10 volte di seguito.
Fu per questo che nel lato b della cassetta dove c'era tutto il disco di Milva Identikit  registrai per 12 volte il brano Fantasia  musica di Ricardo Cocciante testo di Buono Lauzi.
Fu sulle note di questa canzone che mi invaghii di Luca, che me l'aveva fatta conoscere.
Più che di lui come ho già avuto modo di dire,  mi ero invaghito della situazione, del frequentare i primi ragazzi gay come me, di avere qualcuno che mi facesse da mentore.

Trent'anni dopo scoprii che la versione di Milva era una cover e che l'originale l'aveva incisa un paio di anni prima Gabriella Ferri dandole totalmente un'altra interpretazione.
Tanto Milva era stata lirica, romantica e nostalgica, al punto da cambiare qualche parola troppo fuori registro per la sua interpretazione sognante, (viziosa come una puttana diventa leggera come una sottana)  laddove Gabriella Ferri era invece carnale, provocante e prosperosa.

La scoperta avvenne in fieri, mentre ascoltavo il cd senza aver notato quel titolo uguale. Mi erano bastate le prime battute di batteria del pezzo, prima ancora di qualunque nota, per capire che si trattava dello stesso brano ed emozionarmi della riscoperta.
Eh sì, riscoperta, perché sarà per i miei gusti onnivori, per la mia bulimia musicale che mi fa sentire un pezzo fino alla nausea mi ritrovo con molti brani che ho amato alla follia e che poi ho totalmente rimosso. Brani dei quali non ricordo più l'esistenza e che al primo riascolto, come un profumo, mi portano alla mente e alla pancia le emozioni di allora.

Mi è successo spesso ultimamente e oggi con voi voglio condividere alcuni di quei brani e relative emozioni.

Sweet Nothing dei Working week.

Ho ritrovato questo brano grazie a Spotify che un giorno me lo ha suonato tra i brani che mi sarebbero potuti piacere aprendo le cateratte del cielo dalle quali sono straripati ricordi sopiti da troppo tempo.

Questa canzone, che data 1986, mi parla di Fabrizio e Tamara che erano il mio e la mia consulenti musicali, mi parla anche di scuola finita, di nuove prospettive universitarie libere quanto il mio coming out ormai sereno anche nei confronti di quella parola gay che, come ho già avuto modo di dire, mi era stata stretta.

A che servono gli dei di Rossana Casale, che segna il mio commiato da lei, che dopo questo brano. relativo album, perderò di vista.
Rossana la seguivo dai tempi di Brividi, mi ero precipitato a vederla a Umbria Jazz a un concerto in piazza gratuito e mi aveva seguito fino a Bruxelles, cui questo brano in particolare in qualche modo è legato.
Rossana non l'ho mai dimenticata più semplicemente ho smesso di ascoltarla e di seguirla. Quest'anno ho avuto l'onore e la fortuna di rivederla in concerto e di poterne anche scrivere e mi sono ripassato album e canzoni dei quali ricordavo ancora scalette e titoli.

Mi vedo giovane uomo per le vie del centro di Bruxelles, tra la Beurse e il locale l'Archiduc al quale andavo spesso, al piano superiore, a bere un vin chaude, quanto ero abitudinario!, con la mia camminata magra e dinoccolata, amaramente single, con poca esperienza ma già tante delusioni, che sognavo una vita cosmopolita in quella capitale europea all'epoca ancora molto années cinquante e mi struggevo per dover tornare casa, da mia madre e mia sorella mentre Rossana mi cantava nelle orecchie.

Capirete bene il perché mi struggessi tanto.

A quei ricordi antichi si aggiungono quelli struggenti e recenti delle visite a Bruxelles a novembre del 2015 e dicembre del 2016 col mio ultimo ex, le cui emozioni e il cui ricordo rimbalza e amplifica le sensazioni dell'Alessandro di 24 anni, ma questo magari ve lo racconto un'altra volta.

You're Under Arrest di Serge Gainsbourg della quale pure mi ero dimenticato e che ho riascoltato ieri per la prima volta da almeno 20 anni quando ho scritto il post sulle fonti.
L'album è del 1987 quando stavo sperimentando, incamerando, e mi stavo emozionando per, una massa di musica francese, da Michel Jonasz a Maurane, da David Linx a Isabella Antena, da Jeanne Morau a Viktor Lazlo, mentore il mio amico Patrick di cui leggerete di più molto presto.

Una checchina giovane, naïf che si stava sprovincializzando tutta insieme, quel 1987 mi aveva visto per la prima volta a Parigi, in un viaggio interamente pagato con soldi miei guadagnati scrivendo, del quale ancora non vi ho detto, ma vi dirò, vi dirò.

Queste amnesie non sono scelte selettive della mia mente che deve fare spazio a nuove cose lasciando dietro quelle vecchie.
Questa metafora non mi piace neanche un po' perché le esperienze che facciamo anche in campo musicale diventano parte integrante di noi e non possono essere lasciate indietro e un po' perché  mi sembra ridicolo affermare che per leggere Guerra e pace debba fare spazio cancellando Moby Dick.
Mi sembra un modo paternalistico, materialistico di vedere le cose, un modo che non mi appartiene e che disprezzo.

Nel mio caso però la amnesia musicale non è solamente sul lungo periodo ma anche su quello breve, brevissimo.
Quando Antonio, il terzo dei miei fidanzati sardi, tornò in visita in Italia da Londra da dove viveva da poco e dove vive beato lui tuttora, fra la musica che mi fece sentire c'era un brano di un gruppo nuovo al primo disco. Il brano era Istantanee e il gruppo era i Subsonica.

Avevo apprezzato molto la canzone e chiedevo ad Antonio che l'aveva sul suo iPod di metterla spesso.
Non ho mai imparato nome della canzone o del gruppo, anche se me li feci ripetere fino alla nausea.
Così quando se ne ritornò in quel di Londra si portò quel nome con sé.
Io non solo non potevo cercare quella musica perché non ricordavo il nome ma, partito Antonio, dimenticai proprio di averla ascoltata quella canzone.
Qualche settimana dopo, per il concerto del primo di Maggio, sul palco salì un ragazzo davvero sexy che cantò una canzone che mi piacque subito molto. Era il frontman di un gruppo che si chiamavano i Subsonica e la canzone si chiamava Istantanee.

Quando sentii Antonio, qualche giorno dopo, gli raccontai di questa nuova canzone che avevo sentito e che mi piaceva molto dicendogli il nome (che sbagliai) e il gruppo.
Lui mi disse, con l'imbarazzo di chi nota in te i primi sintomi di qualche malattia, Ale, ma questa è la canzone che ti ho fatto sentire io e che ti piaceva tanto, non ricordi?
No, non ricordavo.

Per me esistevano due istantanee, quella che avevo scoperto con lui e che poi lui si era poi portato via quando era tornato a Londra e mi aveva lasciato a Roma (stronzo!) e quella che avevo scoperto io da solo, per la seconda volta e che ero pronto a condividere con lui.

Questo è l'esempio più eclatante ma non è l'unico.

La mia memoria è attentif  alle circostanze, alle persone, al mondo, al momento.
Mutando quello muta anch'essa.
Come se parte della mia memoria sia nella testa delle persone con cui ho fatto quella scoperta  e andata via la persona va via anche la memoria.

Ecco perché a volte quando vado nei posti, quando ritorno là dove sono già stato con altri, o dove magari ho solo sognato di stare  riscopro e ritrovo canzoni, sensazioni, sentimenti.
Un incrocio tra memoria concreta e memoria platonica.
Quell'altrove che ho scoperto essere solamente il posto dove mi nascondo quando non riesco a rimanere nel qui e ora della vita mia o quando vorrei che il mio qui è ora fosse lì e altrove con Antonio a Londra, o con Patrick a Bruxelles.

E invece mi tocca sempre di stare solo in compagnia di me stesso.








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