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Nel post Piangi Ale. Piangi cito questi versi 
Io vado, ma ti giuro che se non ho pianto mai è questa l'ultima occasione, forse lo farei, mi basterebbe una parola e mi fermerei. Ma amore come stai non lo chiedi mai.
Sono tratti dalla canzone L'abitudine, cantata da Mina.

L'abitudine è una delle innumerevoli cover che Mina reinterpreta in italiano rendendola un inedito  per arrangiamento e interpretazione.

L'originale Daddy's Dream di Harold Stott (pseudonimo di Lally Stott Marchelle, il leader dei Motowns) e H. Onward, era stata incisa nel 1972 da Demetrio Stratos quando era sotto contratto con la Numero Uno di Mogolo Battisti, che però non lo fanno lavorare, questo è l'unico 45 giri che incide per loro, una canzone molto diversa dallo stile successivo degli Area, che parla di un figlio che chiede alla madre di tornare a casa perché il padre si dispera e lui piange per la prima volta nel vedere il padre piangere.



Testo vagamente maschilista con questa madre che se ne è andata lontana abbandonando padre e figlio. Poveri maschi vittime di questa mamma snaturata ed egoista.

Mina ne fa una canzone d'amore più consueta ma particolare, perché l'abitudine è quella di chi ha finto ma ora vuole vivere e se ne va anche se confessa che le basterebbe una parola per fermarsi, che sono i versi che ho citato io.


La canzone è pubblicata in Altro, uno dei due album,  assieme al live Dalla Bussola, del suo primo doppio 1+1  pubblicato a Novembre del 1972 dopo che, nel Giugno dello stesso anno, Mina era già uscita con  Cinquemilaquarantatre (l'assenza dell'accento, che è errore, è nel titolo del disco). Così Mina è l'unica cantante, al mondo, uscita con tre album di inediti, poco importa se cover o live, nello stesso anno.

L'abitudine il cui test italiano è di Bruno Lauzi è una struggente canzone d'amore dove il modo di cantare di Mina è un capolavoro di bravura e interpretazione, a cominciare dal fiato trattenuto e poi soffiato, a certe note basse fatte all'improvviso  (quel non cantato un'ottava giù laddove nell'originale in inglese di Stratos c'è un molto più semplice da cantare uh) mentre sull'intenzione con cui dice il testo si basa tutta la forza interpretativa.

Mina, come tutte, aveva la consuetudine di incidere diversi take della canzone per poi scegliere quello che le sembrava più adatto.
Per L'abitudine abbiamo la fortuna di poter ascoltare un'altro take che è stato pubblicato in  Del mio meglio n° 5 del 1979.



E' interessante comparare le due versioni per scoprire come la stessa interprete, nello stessa sessione di registrazione, sulla stessa base, riesca a ottenere due canzoni totalmente diverse nelle intenzioni e nel pathos.

L'abitudine ha costituito le coordinate esistenziali tra le quali sono cresciuto e mi sono commisurato ai miei primi amori, storie, flirt, tresche ed esperienze.
Altri punti cardinali di questa mia formazione sentimentale sono stati  Ti accetto come sei, nella quale c'è il verso a non servire a niente basto io; L'amore forse (cover di Ao amigo Tom di Marcos Valle, che in italiano dice è mille volte meglio morire di dolore che non amare mai) e Ballata d'autunno, versione italiana di Paolo Limiti di Balada de otoño di Joan Manuel Serrat su testo del poeta Razfael Alberti, dalla quale, per quanto possa sembrare assurdo visto che parla di ultima legna al fuoco, a 17 anni mi sentivo rappresentato, subito dopo la fine declamai storia con Andrea.

Mina canta

io ti racconterei 
che sta bruciandosi l'ultima legna al fuoco e poi 
che la mia povertà
è anche di un sorriso 
che sono sola ormai 
ma io da sola son finita 
e ti racconterei  
che i giovani son giovani 
perché non sanno mai 
che no non è la vita 
la bella cosa che 
che loro gira in mente 
questo io lo so


Se pensate che questi versi molto bene resi in italiano da Limiti siano un po' forti per un ragazzino di 17 anni forse non dovrei dirvi allora di  Volendo si può (sempre da Altro) che mi cantai nell'estate del 1982 mentre tornavo a piedi dalla stazione di Villa Claudia dopo aver accompagnato Andrea che era venuto a trovarmi per riaprire ferite appena rimarginate nella quale si preconizza un suicidio accessibile, basta volerlo. 

Per me i testi delle canzoni sono sempre stati delle reinterpretazioni magiche, delle esasperazioni drammatiche, catartiche e disperate, che mi permettevano di inscenare un gesto esagerato senza affrontarne le conseguenze concrete. Per cui i versi volendo si può, basta poco, e fra poco io per sempre dormirò, è tanto facile mi servivano a commuovermi immaginandomi morto suicida per Andrea. Ma per immaginarsi morti bisogna essere vivi no?
Per cui, a quei versi di suicidio annunciato contrapponevo dei versi non detti ma più sentiti, più miei

Volendo si può
ma io non voglio no,
morire magari anche no
anche se dentro
morire un po' mi sento.

Come ho già avuto modo di dire, pensare che c'è chi le chiama ancora solo canzonette.








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