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Piangi, Ale. Piangi.


C'è sempre una dose di inadeguatezza quando muore una persona cara.

Quello che si fa, qualunque cosa si dica, dopo, risulta insulso e privo di qualsiasi significato.

La morte di tua madre ti porta ancora più fuori scala.

Io, che sono sempre stato timido per natura e ferocemente critico di ogni mio pubblico starnuto fuori posto, ho gestito la sua malattia e il suo lutto con un'aderenza al mio sentire che non mi ero mai davvero permesso fino ad allora.
Mi ero sentito sempre inadeguato in qualche modo e le mie prime prove di emancipazione sono coincise proprio con la malattia e la morte di mia madre.

Una inadeguatezza preziosa che mi ha spinto verso l'anticonformismo, al quale sono giunto presto, ma per fuga più che per decisione.

Non sono mai stato capace di imparare tutte quelle convenzioni che si apprendono spontaneamente quando frequenti un posto, un luogo sociale, una cerchia di persone.

Così ho smesso di andare a messa non già perché  l'idea di dio mi è sempre sembrata una cosa terrena e umana, ma perché ignoravo le procedure della cerimonia: quando ci si alza? Quando ci si inginocchia? Quando ci si siede? E cosa sono quei segni che si fanno col pollice sulla fronte, sulle labbra e sul cuore (?!).
Io sapevo per miracolo fare il segno della croce e mi è sempre sembrato di farlo male.
Sono fuggito dalla messa prima che sgamassero che ero un imbucato, prima che il fatidico bambino mi indicasse dicendo ad alta voce mamma il signore ha sbagliato a fare il segno della croce.

Anche quando sono andato nella mia prima discoteca gay sentivo la stessa inadeguatezza: come si rimorchiano i ragazzi? Con lo sguardo? Con la prossemica? Col linguaggio del corpo? Cosa si dice? Quando si mette la mano sul pacco? ehm non la si mette?! E dove allora? Sul culo?!?!?
Ancora oggi lo ignoro.
Io rimorchio grazie ai siti internet. Prima? Prima c'erano gli etero!

Nei confronti della morte il senso di inadeguatezza non solo era totale ma era anche oggettivo. Non dipendeva da una mia inadeguatezza.
Non esisteva una cosa giusta da fare che io mancavo.
L'unica cosa giusta sarebbe stato un miracolo di resuscitazione. Se qualunque altra cosa era inadeguata di per sé  allora tanto valeva fare quello che mi sentivo.

Certo a sentirsi disinvolti quando tua madre è in fin di vita ti fa bruciare l'aria che introduci nei polmoni, perché la libertà passa per la morte di mamma. Una morte che per le altre persone è metaforica e per te è marcia e concreta.

Però la mia vita funzionava così. La mia resilienza si svolgeva così. Mamma muore? Allora vai caro e sentiti disinvolto.

Mi sentivo disinvolto quando la sera, dopo una estenuante giornata di turni in ospedale, io di solito la mattina, dalle 8 alle 14, mia sorella dalle 14 alle 20, ci rallegravamo davanti una cena frugale, e una cannetta, spesso consumata in compagnia  degli amici, e di Fabrizio.

Mi sentivo disinvolto quando Alessandro, uno degli altri froci del quartiere, mi chiese allora? Mamma sta ancora in ospedale? e io No... Ah bene sta a casa allora.  No. E' morta.

Mi sono sentito disinvolto anche quella volta che, per darmi coraggio alle visite domenicali del parentame in ospedale e alle loro domande  (Scrivi recensioni di cinema? E chi le legge?!  ma un lavoro serio no?!)  mi ero fatto una cannetta leggera leggera, e mia cugina Sonia, che era anche  mia madrina, vedendo i miei occhi rossi di hascisc mi dice Ale! cosa sono quegli occhi rossi? Vieni qui, parliamo. E mentre pavento un pistolotto sulle canne Sonia mi dice dimmi la verità: tu hai pianto!!! E io fingendo imbarazzo le rispondo eh sì un pochino...
Forse più che disinvolto quella volta mi sono sentito  una merda.

Mi sentivo disinvolto quando le vicine di casa volevano notizie di mamma e io rispondevo eh non è che stabbia molto bene...
Stabbia. Congiuntivo.
Dea solo sa da dove mi è uscito quello stabbia. Io ho sempre parlato un italiano impeccabile. Nel palazzo avevo fama di essere un professorino.  Sicuramente le vicine avrebbero cominciato a usare stabbia.
Stabbia? Ma che dici? 
- Si dice così l'ho sentito dire ad Alessandro.
Vatti a fidare della disinvoltura.
Quanto ne abbiamo riso  io e mia sorella.

Mi sono sentito disinvolto un giorno che mentre ero andato dal giornalaio, in una delle macchine ferme al semaforo vedo il marito di una vicina di letto di mamma, che era guarita,  il quale mi sorride e vuole sapere notizie di mia madre  e io faccio un gesto della testa che non lascia spazio ad alcuna speranza e gli vedo spegnersi il sorriso sulle labbra.
Mi meraviglio della disinvoltura con cui sono riuscito a comunicare  con lui usando solamente  il corpo, senza temere di essere inadeguato e riuscendo a fargli capire quello che volevo fargli capire. Mi dispiacqui solamente della sua tristezza che mi fece però sentire meno solo.

Ogni tanto capitava che qualcuno o qualcuna si meravigliasse di quello che facevo o non facevo avendo una mamma malata terminale o una mamma morta.

Se tua madre sta morendo non puoi andare al cinema, o in discoteca. Figuriamoci poi se puoi ridere di una barzelletta o commentare un pischello bono che, grazie al mese di Agosto, ti passa davanti praticamente nudo.
Se hai una madre morente o morta non si può.

C'è sempre qualche imbecille che non solo lo pensa ma che te lo dice, pure.

Così succede che al funerale, mia sorella, che aveva 20 anni,  segue il feretro di mamma singhiozzando come una vitella condotta al macello,  e siccome io non verso nemmeno una lacrima, il parentume, Silvia in testa, si chiede come l'avevo presa.

Se lo chiederà mia sorella  (glielo sentii dire al telefono a una sua amica qualche giorno dopo), se lo chiederà Daniele che al funerale mi vide troppo euforico per aver rivisto lui e Franco e Carola dopo tanto tempo. Non se lo chiederà la mia amica Mariù, il più grande bluff della mia vita (dopo quello di Paolo, un terzo Paolo, questo lo chiameremo Flusso, poi capirete il perché) perché Mariù lo sapeva e mi preconizza esattamente cosa mi sarebbe successo se non piangevo dicendomi la stesse identiche parole che mi sussurra zia Maria proprio adesso che seguo con lo sguardo mia sorella che si appoggia alla bara come se ci volesse entrare dentro mentre si sta letteralmente strozzando con i suoi stessi singhiozzi: piangi Ale, piangi. Altrimenti dopo crolli.
Eh no Zia, veramente è mia sorella che sta crollando...

Secondo voi Zia Maria e Mariù si saranno parlate?

Non mi dava fastidio che temessero potessi crollare, anche se veramente una parte di me non si è mai ripresa dalla consapevolezza che sono sopravvissuto alla sua morte.

Non mi offendeva nemmeno che pensassero che della morte di mia madre non si capiva se mi importasse o no, questo anzi mi dava un certo margine di manovra che non mi dispiaceva affatto.

Trovavo banale e superficiale che le persone a me care, quelle che avrebbero dovuto  conoscermi, se non mi vedevano piangere, pensassero che non provavo niente.
Ma davvero?
Ho 25 anni, nessun lavoro, mio padre è morto quando ne avevo 19, fino ad Agosto facevo la vita dello studente mantenuto da mammà,  e voi pensate che della morte di mia madre non me ne freghi niente solo perché non singhiozzo come quella Drama Queen di mia sorella?

Ho sempre trovato di una violenza sconcia questo modo di pensare, e, soprattutto, l'arroganza che mi venissero a comunicare  questi pensieri giudicanti.

Se non piango crollo. E se il problema è proprio che non crollo?

E se trovo disgustoso che una donna di 54 anni sia morta all'improvviso (ricoverata ad Agosto morta l'ottobre seguente) per una leucoencefalopatia fulminante?

Come faccio a godermi la vita ora che sono stato testimone della sua aleatorietà?

Come si fa esser lieti prima del domani?

Perché mi fate sentire ancora più solo coi vostri giudizi borghesi, superficiali, strutturati come un feuilleton di seconda mano?

Le parole di mia zia mi fanno pentire di non aver dato di matto mezzora prima, durante la messa.

Il prete stava chiedendo perdono a dio per i peccati di Mirella.

Mirella, mia madre, era morta di aids conclamato in seguito a una trasfusione di sangue infetto ricevuta nel 1985 durante un'operazione  di routine al cuore (ricostruzione della valvola mitralica).

Mia madre aveva rimandato quell'operazione per almeno cinque anni e quando si era convinta a farla si beccava l'hiv.
La vita è proprio stronza.

Quel prete stava chiedendo scusa a dio che mia madre si fosse operata al cuore per un difetto cardiaco col quale, a rimanere coerente col suo universo, mia madre era stata creata. 

Mi ricordo che mi prese un furore così anticlericale che il primo impulso fu quello di saltare su quell'altare di merda e sparecchiare tutti quegli ammennicoli pagani coi quali quello schifo di uomo si sentiva più potente di noi.

Ero il figlio della morta. Se sbroccavo ero giustificato, no?

Poi, pensando allo spavento che avrei fatto prendere alle mie zie, desistei e lasciai la chiesa aspettando sul sagrato che la messa finisse.

Fu lì che trovai Daniele, un mio compagno di università che oggi è diventato un regista famoso che era troppo sconvolto per entrare in chiesa. Aveva conosciuto mia madre durante le sessioni di studio  col resto del gruppo ed era sinceramente devastato dalla sua morte.
Di solito stavamo da Alessandra a studiare ma qualche volta stavamo da me. Alla fine di ogni giornata di lavoro (tesina per la terza annualità di storia e critica del cinema con Aristarco) ci chiedevamo domani stiamo da Ale? No, da Ale e vi giuro che capivamo sempre a casa di chi dovevamo andare...

Insomma sono lì con Daniele e Franco e Carola quando mia sorella esce al seguito della bara e rompe in singhiozzi.
Oggi l'avrei raggiunta per consolarla ma allora ero sempre pronto a difendere la mia differenza che  quel suo modo allineato di reagire metteva a repentaglio facendomi irrigidire oltre ogni modo.

Mentre mi pento di non aver dato di matto io vorrei avere a disposizione una lupara per fare una sana carneficina. Mica se la possono cavare così. MA come mia madre è morta e loro sono vive. E che cazzo!
Una piccola carneficina. Una ventina di morti, tra i quali zia Maria e il prete. E Mariù!

In questo flusso (non Paolo) di giudizi nessuno si era mai preso il disturbo di verificare il presupposto  che ne so venendo a chiedermi Ale come stai? Com'è hai preso la morte di mamma?  
Allora forse sì avrei potuto piangere.

Se fossi in seduta dalla mia strizzacervelli lei mi farebbe notare che ero io a non permettere a nessuno (e nessuna)  di avvicinarmi.
Anche fosse, l'amicizia c'è quando la gente trova il modo di entrare nel castello superando in qualche modo il fossato, chi entra quando abbassi il ponte levatoio non viene in amicizia ma in comodità.

Io vado, ma ti giuro che se non ho pianto mai è questa l'ultima occasione, forse lo farei, mi basterebbe una parola e mi fermerei. Ma amore come stai non lo chiedi mai.

Invece la cosa più carina che mi sentivo dire quando dicevo di avere perso mamma, mamma morta, era un cazzo di mi dispiace.

E voi vi preoccupate che crollo. Crolli. Crollabbia.

Come stabbia, no?












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