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La signora Frances una e due



Alla vigilia di Natale del 1998, anche se stavo con Daniele da Maggio, come ogni vigilia dal 1986 ero a cena da Frances.
Ce n'erano state di vigilie memorabili negli anni.
La sera che assistemmo alla messa di Natale in cima alla chiesa di Sant'Ignazio, dove un frate organista, amico di Frances, chi aveva invitate. Sarà stato l'87 o l'88.
Mamma era ancora viva, e quella messa era una sorta di tributo a lei, perché qualche natale prima, doveva essere il 1986, pur di sottrarmi dalla cena a casa di un'amica di mamma, una nuova, post intervento chirurgico, l'unica persona che le resterà vicina negli anni, ero andato alla messa di mezzanotte col mio amico Fabrizio, quello dei baci in pizzeria. Mamma ne era stata felice, io le avevo spiegato che in realtà ci andavo perché era un esercizio di lettura antropologica che ci aveva assegnato  Ida Magli, nelle sue lezioni universitarie di Antropologia culturale.
Nella messa non si celebra la nascita di Cristo, ma la sua immolazione, il suo sacrificio. Lo dice proprio la messa e io, novello San Tommaso, volevo toccare con...orecchio. Mamma mi disse che era contenta lo stesso che andassi a messa.
Un altro anno arrivai da Frances in preda alle nausee. A pranzo ero stato col mio capoufficio in un'osteria dove avevo mangiato troppo e appena arrivato dalla marchesa mi ero chiuso in bagno dove uscii solamente dopo un ora.
All'epoca vomitare per me era un trauma e preferivo evitarlo a tutti i costi anche se questo significava prolungare la nausea e il malessere fisico. Oggi non ne sono felice ma se capita mi rassegno pensando a quanto si sta meglio, dopo.
Le cene di Frances erano speciali per tutti i regali che ti faceva trovare sotto l'albero che lei comperava durante tutto l'anno anche nei suoi viaggi per l'Italia e non solo.
Non sempre i regali erano graditi.
Ricordo di un gatto artificiale, di peluche, con tanto di miagolio, che mi faceva orrore, mi sembrava quasi un gatto imbalsamato e quel miagolio elettronico era davvero annoying. 
Lo tenni comunque fino al 97 quando traslocai alla Montagnola.
Le cene erano cene normali e non le 99 portate classiche italiote. Un anno però, ricordo che la cena fu davvero troppo frugale e io mi rammaricai di non esser rimasto a casa con mia sorella.
Ma quella vigilia di natale del 98 fu diversa per tanti motivi.
Intanto i suoceri si preoccupavano dove trascorressi la vigilia visto che non rimanevo da loro.
Anche se il mio fidanzamento con Daniele era ufficiale per tutta la famiglia allargata, fratelli sorelle cugini e cugine zie e zii nonni e nonne, rimanevano fuori i nonni materni di Daniele che non lo hanno mai saputo ufficialmente, per scelta di mia suocera.
Eppure la mattina della vigilia, quando ero passato da Daniele a portargli il regalo di Natale, Carla mi invitò per il giorno dopo, dicendomi che mi voleva bene come a un figlio e non le importava cosa pensavano i suoi genitori.
Quella è stato l'inizio di una serie di frequentazioni familistiche che io avevo sempre aborrito ma delle quali fui felice di partecipare perché per la prima volta me ne sentivo parte integrante, accettato anche nel mio legame con Daniele.
Quando dormivo da lui, capitava molto spesso, mia suocera ci portava sempre la colazione a letto. Non è stato con sacrificio ma con gioia e gratitudine se ho trascorso qualche capodanno con loro o se alcune vacanze le ho fatto con loro, in montagna.
Inutile dire che mia sorella, credo rosicando, non solo non accettava la mia scelta, ma diceva anche che non fosse normale, e te pareva!, perché, insomma, sai che palle passare le vacanze coi suoceri? parole sue, oppure trascorrere il 31 dicembre a casa coi vecchi, sempre parole sue, invece di andare a divertirmi come fanno i giovani parole sue).
Mia sorella non era la sola.
Anche la mia amica Anna, pur non frequentando mia sorella, le faceva inconsapevolmente sponda, dicendomi le stesse cose, praticamente quasi con le stesse parole.

A me quale osservazioni ferivano profondamente perché non riconoscevano la mia gioia, la mia felicità, la fortuna nell'aver trovato una famiglia che mi accettava per quello che ero, il fidanzato di loro figlio, cugino, nipote.
Anche per questo non ho mai presentato mia sorella ai miei suoceri.
Gino mi sfotteva, e io ne ridevo tanto, dicendomi che secondo lui io una sorella me la ero inventata per questo non gliela avevo mai presentata perché non c'era.
Io gli  rispondevo che loro erano miei e non volevo condividerli con mia sorella che li avrebbe trasformati in qualcosa di suo. Non dissi la merda sui vecchi che mia sorella, pur senza conoscerli, gettava loro indosso.
A ripensarci oggi quei commenti erano proiezioni di Silvia e di Anna, perché, evidentemente loro pensavano io partecipassi per far contento Daniele non perché ne fossi contento io, perché, oro, al posto mio, se la sarebbero vissuta così.
Ma io non ho mai dovuto spiegare ai miei suoceri il perché dei miei comportamenti, correggendone poi il punto di vista da cui li criticavano.
Perché loro non erano così.
All'epoca me ne dolevo e mi chiudevo in un silenzio risentito. Oggi credo che le manderei cordialmente a farsi fottere spiegando loro il perché.

Quella vigilia del 1998, a cena da Frances, non avendo ancora un mio cellulare, me lo regalerà Daniele l'anno dopo, un Motorola 8700, un citofono rispetto gli attuali modelli. Così avevo dato il numero di telefono di Frances a Daniele che voleva farmi gli auguri a mezzanotte.
Appena arrivato chez elle l'avevo avvertita e Frances si era infastidita troppo. Quando Daniele a volle al telefono per farle gli auguri lei era tutta una faccia infastidita, spettacolo dedicato a me, visto che con  Daniele faceva finta di essere cordiale.
Quando ne avevamo riparlato mi aveva spiegato che lei temeva che io potessi lasciarla a metà cena per andare da lui.
Per la prima volta in vita nostra mi ritrovo una Frances sospettosa gelosa e manipolatrice, ostile al mio fidanzamento. Mi ritrovavo anche con tutti gli strumenti er poter gestire quella manipolazione e non subirla, strumenti che era stata proprio lei a darmi, Com'era possibile che dovessi usarli proprio contro di lei???
Non furono mesi facili. Una sera pur di non cancellare una cena con lei lasciai Daniele da solo a casa mia con 39 di febbre...
Il problema non si limitò a Daniele.
Frances lavorava nel cinema ed era spesso anche in tv.
Nella serie Chiara e gli altri, dove faceva la mamma di Ottavia Piccolo, o in originali televisivi (all'epoca ancora non li si chiamava fiction)  basati su qualche investigatore letterario.
Agli inizi era un fatto eccezionale e a ogni episodio festeggiavamo con cene e party ma dopo dieci anni era diventato abbastanza normale e io avevo iniziato a diradare la mia frequentazione alle cene anche perché non sopportavo di vedere l'episodio intervallato dalla pubblicità, con la gente che ci parlava sopra.
In quel periodo di Daniele ostracismo mi permisi di non andare a una cena alla prima di un episodio di Pepe Carvalho, nel quale lei interpretava una nobile un po' lesbica che concupiva Valeria Marini. Avevo declinato l'invito preferendovi la rassegna Cannes a Roma dove, occasione più unica che rara,  potevo vedere i film in lingua, mentre l'episodio di Frances lo avrei visto dopo, avendo programmato il videoregistratore   (lo stesso  che mi aveva comperato mamma 13 anni prima).

La chiamai il giorno seguente, subito dopo aver visto la registrazione, per commentarla con lei ma mi fece una scenata per telefono che interruppe quando capì che avevo visto l'episodio dal videoregistratore.
Lei pensava che ,avendovi rinunciato a vederlo da lei la sera prima, lo avessi perso.
Le spiegai che non lo avrei perso per niente al mondo e che avevo un videoregistratore che mi permetteva di essere autonomo. Mi sembrava di stare parlando con una delle mie zie vecchie e rimbambite ma il videoregistratore lo aveva anche Frances e lo usava guantone...
Mi impermalosii per quella scenata inutile dicendole che stava iniziando a comportarsi come una zia rompicoglioni. Lei mi corresse l'inglese (ne avevo sempre bisogno) portando il verbo al congiuntivo ma io le dissi in inglese che non volevo dire that she were volevo  proprio dire that she was  una rompicoglioni.
Credo che fosse la prima volta che le davo una rispostaccia, ma in quel momento sentivo in quel suo rimprovero immeritato una pedanteria fuori luogo, che tradiva lo stesso giudizio di mia madre, la stessa ingerenza di mia sorella.
Quando qualche sera dopo lei si arrabbiò che Daniele mi aveva fatto una telefonata da lei, per sentirmi, una telefonata brevissima che era rimasta sotto i due minuti, Frances mi attaccò dicendo che trovava assurdo che Daniele non riuscisse a stare una sera senza sentirmi e che lei avrebbe tollerato che lui mi chiamasse a casa sua solamente se ci fosse stata un'emergenza.
Naturalmente aveva ragione sul fatto che Daniele era ridicolo a volermi sentire tutte le sere che non passavo con lui.
Dopo una settimana che stavamo insieme, quando me ne partii quattro giorni per andare al festival lgbt di Bologna, la sera che me ne tornai a Roma, lui singhiozzava al telefono dicendomi che gli ero mancato da morire...
Io Daniele lo amavo anche per quella sua disperata, assurda, esagerata malinconia nel sapermi lontano.
Glielo avrei dovuto dire a Frances.
Ma mi ero sentito limitato nella mia autodeterminazione. Mi sembrava di stare a difendermi dalle ingerenze fascistoidi di mia sorella invece si trattava della mia migliore amica.
Invece di dirglielo mi impermalosii e le risposi che l'unica maniera per cui potevo immaginare che Daniele non mi chiamasse a casa sua era che io non andavo a casa sua.
E di punto in bianco smisi di frequentarla.
Io non la chiamai dopo quella sera e lei non mi richiamò mai per dirmi che fine avessi fatto. Fu un braccio di ferro che ci sfuggì di mano entrambe troppo rigide e poco umili per ammeterò che l'altra ci mancava.
I mesi volarono velocissimi. Verso maggio,  alla fine di due laboratori video che avevo tenuto in due licei diversi, andavo a montare i due cortometraggi in un service vicino casa di Pasquale.
Passavo davanti casa sua per andare a prendere l'autobus che mi riportava a casa. Ogni volta mi ripromettevo di andare a trovarlo ma uscivo sempre distrutto dal service e rimandavo sempre.
Montare un video, anche se di un laboratorio scolastico, ti assorbe sempre molte energie.
L'ultima sera, quando i video erano stati completati e avevo in mano due master in umatic suono al suo citofono.
Pasquale non risponde, apre direttamente il portone. Capisco subito perché.
Il caso vuole che sia il giorno del suo compleanno. Io me ne ero completamente dimenticato.
Non ero stato invitato perché dopo la separazione da Frances lui si era schierato dalla parte della marchesa.
Io ne ero anche rimasto contento così almeno c'era qualcuno che le stava accanto.
In borsa avevo anche un regalo per il compleanno di Agostino che avrei visto due giorni dopo.  Lo avevo comperato proprio quella mattina. Era quel libro stupido sul pene, il pisello, il cazzo, ed era perfetto anche per Pasquale.
Così sembrò che fossi passato per la festa di compleanno di Pasquale anche se in realtà si trattava solamente di una coincidenza pazzesca.
Pasquale appena mi vede mi abbraccia e mi dice hai fatto bene a passare e io mi sento già un millantatore.
In camera da pranzo, quella dove ci riunivamo sempre ogni anno quando usciva il nuovo disco di Mina, per ascoltarlo in religioso silenzio, quella nel divano letto della quale avevo dormito nei mesi che avevo abitato con lui una decina d'anni prima, in quella stanza ci sono tutti gli amici di Pasquale, quelli che mi sono simpatici, come Paolo, un Paolo Ottavo del quale chissà se vi parlerò, e quelle che mi stavano cordialmente sulle scatole come Bea la classica radical chic studiosa dell'arte e quindi sempre in punta di culo a correggerti ogni qualsiasi cosa che aveva a che fare con l'arte, non per informare te dell'errore, ma per sfoggiare lei la sua cul-tura.
Tra gli amici simpatici e le amiche stronze vedo Frances, molto dimagrita, troppo, e mi rendo conto di quanto la mia defezione l'abbia cambiata anche a livello fisico.
Me ne dolgo e me ne spavento.
Ci salutiamo da lontano. Lei, prima ancora che io glielo chieda, mi dice che sta benissimo. Sembravamo una coppia di amanti che dopo tanti anni di amore, si erano lasciati.
Non rimasi molto tempo alla festa. Vedere Frances così dimagrita mi aveva impressionato, mi sentivo responsabile e in colpa.
Mentre salutavo tutti e tutte con un generico au revoir tout le monde (santa lingua francese)   mi raccomandai con Pasquale per Frances, dicendogli tienila d'occhio per me, salutai Frances dicendole  mi raccomando, basta dimagrimenti, e me ne andai, molto turbato, felice di essermi sottratto a quella situazione.
Era il maggio del 2000.
Non vedrò Frances per cinque anni.

La storia con Daniele mi assorbì completamente, e di sentire la sua mancanza non ebbi nemmeno il tempo.

Poi qualche mese dopo che Daniele mi aveva lasciato a una festa di compleanno cui ero andato per non rimanere a casa da solo, incontro questa donna di New York con la quali mi prendo subito molto. Lei mi fa i complimenti per il mio inglese io le racconto velocemente di Frances e di come non ci siamo più parlate.
Lei mi suggerisce di chiamarla, perché, spiega, si sente che mi manca e che la penso. Se ho paura che lei non mi voglia vedere meglio chiamarla e saperlo per certo che continuare a pensare che possa succedere senza verificarlo mai.

Il pomeriggio dopo chiamo Frances, lei è cordiale come ci fossimo sentiti due giorni prima, mi avverte che aspetta la consegna di una cosa che ha comperato. La consegna arriva. Attacchiamo. Mi richiama due minuti dopo, mi chiede se voglio andare a cena da lei. Le dico di sì.
Appena arrivo, mentre io sono ancora con la giacca indosso, lei chiama Pasquale e gli dice in italiano indovina chi c'è qui con me? Alizandro. Che adesso è ciccione. Ciccione come gli americani.
Io mi guardo intorno e la casa è tornata con le pareti decorate da foto e cartoline in quello che si chiama stile californiano.
Un anno prima di  smettere di vederci aveva fatto sostituire la moquette col parquet, aveva fatto ridipingere tutte le pareti, coprendo i disegni di Fernando che erano lì dal 1984 e aveva deciso di lasciare le pareti libere. Io avevo soprannominato quel cambiamento il nuovo stile zen.
Quando commento dicendo che è tornato tutto come una volta lei non capisce. Le menziono lo stile zen. Lei finalmente se ne ricorda e commenta , laconica, icastica, splendida, well, I've unzend it. 
Mi viene da ridere ancora adesso che lo scrivo.

Ci raccontiamo a grandi linee quei cinque anni di iato.

Io ho poco da dirle tranne che sono tornato single, lei mi racconta i rimorchi, i viaggi col suo amico Rob, quello che mi ha sostituito, e riprendiamo a frequentarci come se quello iato non ci fosse mai stato, pronte a godere della reciproca compagnia invece di rimuginare sul tempo perso.
Era il 2005.
Frances morirà tre anni dopo.

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