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Abiura




Mentre scartabello il contenuto di scatole mai riaperte ritrovo foto e vecchi ricordi, come quello di mia madre tra il pubblico di Cenerentola Zang Tumb Tumb la seconda edizione alla quale partecipò anche mia sorella.
Nel ricordo, visivo, vedo mia madre nitidamente, che siede tra il pubblico, con l'espressione incompunta di chi cerca di darsi un tono perché sa di essere guardata.

Il sottotesto a quell'immagine, a quel ricordo, è mi hai voluta qui ora non pretenderai mica che mi diverta anche!

Ecco.

Il mio sentimento nel guardare mia madre, quello he almeno emerge dal ricordo, è di delusione.

Non la delusione del figlio che realizza che la madre non apprezza quel che lui sta facendo, quanto la delusione del figlio che si rende conto che la presenza di sua madre tra il pubblico non è necessaria. Perché se anche avesse l'approvazione e il sostegno materni quelli non costituirebbero un nuovo carburante.

Sarebbe sufficiente che non gli remasse contro, che non questionasse ogni sua scelta, lui che già ha mille dubbi e non sa che quei dubbi sono alimentati, oltre che dal suo pervicace auto-sabotaggio, dal questionare di sua madre.

Io vedo lì mia madre e so che la sua presenza è estranea, non estranea al teatro e dunque a me, estranea direttamente lei,  perché lei, nel mio mondo, nella mia vita, non c'è.

Quel che mi piace, quelle che sono solamente cose solo mie  non le ho coltivate grazie a mia madre ma nonostante mia madre.

Per cui il desiderio filiale di volerla presente alle cose che per me significano (lo so, ennesimo costrutto inglese) è vano, futile, inutile.

Non ho bisogno di mia madre per fare teatro.

Anzi, il teatro attesta che so vivere anche senza mia madre.

L'amore filiale, il bisogno dell'amore materno si sono consumate nella mia pre-adolescenza.

Quando ho capito che mia madre non mi amava come io avevo bisogno che lei mi amasse non ho continuato a cercare quell'amore disperatamente, ma, a modo mio, mi sono guardato intorno e ho cercato di dedicare quel bisogno di amore a qualcun altro.

Che fosse Andrea o Luca o Paolo o Daniele o Gianluca, last, e, ahimè, least, ho chiesto loro amatemi con risultati sorprendentemente fallimentari.

Intanto nonostante loro, sono, faccio, vivo, sbaglio, imparo, inciampo e mi rialzo.

Non grazie a loro, ma nonostante loro.

Proprio come con mia madre.

Sarà una scoperta banale, ma la mia vita è speciale non per le persone che ci sono state, ma perchè c'ero io.

Le persone che sono state speciali, Frances, Patrick, e poche altre, lo sono state perché mi hanno sostenuto, incoraggiato, hanno lavorato e vissuto con me, non perché mi hanno fatto fare cose che non avrei altrimenti mai fatto.

Perché sono io che ho fatto e non ho fatto. Loro c'erano comunque.

Per cui il pensiero di avere vissuto con una madre che avrei voluto più presente, più amorevole, nasconde la vera consapevolezza che io di quella madre non avevo più così bisogno nella mia vita adulta come ne avevo avuto in quella adolescenziale.

E che non importa se le sbucciature non me le ha pulite lei, me le sono pulite da solo, damn it, e vaffanculo il resto.



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