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Una pippa, nella vita


Durante uno dei mie tanti viaggi a Bruxelles negli anni 80, non ricordo più quale, io, Patrick e Paolo suo ci eravamo seduti in un bar, all'aperto.
Era primavera ma il sole era già tramontato e noi ci stavamo godendo il panorama e la musica.
A un certo punto suonano le note di un pezzo jazz che mi piace molto del quale ignoro titolo autore ed esecutore.
Nell'entusiasmo di una musica che mi piace chiedo numi a Patrick e Paolo che mi guardano con un sorrisone ironico, loro non sono certo animali da jazz ed è strano che abbia chiesto loro che musica fosse.   
A un tavolo vicino al nostro, un paio di sedie più in là, un signore sulla cinquantina, in giacca e cravatta, un cappello alla Leonard Cohen, solo, triste e solitario, mi dice in un italiano perfetto, con un accento indecifrabile, si tratta di Coleman Hawkins, il brano è Out of Nowhere.

Io lo ringrazio, imbarazzato. Non portiamo avanti alcuna conversazione. L'imbarazzo cresce, magari io vorrei anche parlare con l'uomo ma me lo impedisce la mia incontenibile timidezza.
Patrick e Paolo sono divertiti e insinuano, sottovoce, che io abbia rimorchiato.
Sono cattivi perché la loro è una battuta che serve a sottolineare l'incompatibilità tra noi, tutti appena sopra i vent'anni, io ne ho 22, Patrick 23, Paolo 19, e quel signore anziano. 

Io mi immagino di conoscerlo e di frequentarlo, di trasferirmi a casa sua, e vivere a Bruxelles con lui, in cambio di sesso, immagino che lo avrei potuto fare, il signore era elegante e non era brutto.  Potevo presentire il gusto della noia a vivere con una persona ostracizzata da certe frequentazioni giovanili, perché vivere con lui, immaginavo, significava rinunciare alla mia vita coi giovani.

Ne pensavo di cazzate a vent'anni.

In realtà, nonostante l'ineliminabile differenza anagrafica, mi sentivo più affine alla calma conoscenza di quel signore di mezza età che alla garrula frivola e gaia ignavia dei miei amici.

Mi sarebbe piaciuto chiacchierare con quel signore, scoprire chi fosse, sapere almeno come si chiamava, indagare sul perché era solo, indovinare perché sembrava triste, ma metteremi a chiacchierare con lui era al di la della mia umana capacità.

A me non piaceva quello che ero.
Anche perché sentivo che non ero niente.
Se mi fossi sentito libero di scegliere avrei scelto lui non loro.
Ma anche avessi avuto davvero il coraggio di fare quella scelta avrei sentito il peso della rinuncia della controparte
Nella mia boria volevo essere un esperto di jazz come il signore ma avevo paura di un futuro da solo come quello che mi preconizzava lui, da vecchio. Preferivo allora agognare al consesso di Paolo e Patrick.

E se anche la mia età mi dava il diritto naturale di appartenere al loro consesso non mi sentivo abbastanza desiderabile, come loro, per appartenere davvero a quel polo.
Mi sentivo più come il signore, che non proferiva parola e non dava sponda, un signore giovane, non ancora invecchiato.

Nessuna possibilità di alleanze per me
Mi sentivo in mezzo al guado e ancora più solo di lui.

La  presunzione che l'interesse del signore nei miei confronti fosse sessuale era la cosa più sciocca che potessimo pensare tutti e tre, eppure mi sentivo lusingato di essere stato scelto io (capite l'onnipotenza della gioventù quanto è perfida?) e non Patrick o Paolo.
Cioè che avesse scelto il bruttino e non i belli.
 La verve intellettuale, mi ero detto, aveva compensato la mancanza di bellezza fisica.

E, nonostante fosse un'assunzione labile e sciocca, mi sentivo comunque inadeguato, sapevo (come? dove?) che la verve intellettuale, da sola non bastava, e che quella verve sessuale giovanilistica, quella che, presumevo, avrei dovuto avere col signore una volta andato a vivere con lui, che mi avrebbe dovuto permettere di essere un grande amante performativo, qualunque fosse il ruolo in cui quel signore mi voleva, mi avrebbe invece fatto difetto, mi sarebbe mancata quasi del tutto per cui, mi ero detto, per fortuna che ero timido altrimenti, seducendolo con la mia gioventù,  avrei ingannato quel signore promettendogli una vita di magnifico sesso che non avrei mai potuto dargli.
Perché mi sentivo fallato anche nel sesso, per i miei problemi di erezione da una parte e per la mia incapacità di performare la penetrazione ricettiva dall'altra. Per quanto odiassi quel modo di esprimersi io non ero né attivo né passivo e sentivo che anche nel sesso, come in tutto il resto, ero una frode.

Spinto da questi pensieri mi ritrovavo invidioso di Patrick e di Paolo, invidioso della loro potenza sessuale, del sesso che facevano, forte e potente perché basato sull'amore, non quello occasionale, importante e imponente e che a me mancava comunque, ma quello totale che solo l'amore (l'essere amati) sa dare.

Io mi sentivo una pippa nella vita, non mi sentivo amato e non lo ero e la considerazione intellettuale era frustrata da una timidezza talmente dirompente da svilire qualunque velleità culturale.

Una vera affinità si muove su una disinvoltura che io non avevo.

Per cui non potevo che rimanere lì,  in cima a un batticuore (grazie Paolo Limiti) sul bordo di un desiderio che non potevo permettermi, che non prendevo sul serio, che non avevo nessuna intenzione di provare a realizzare veramente, mi bastava desiderarlo.



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