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Un ricordo mio


Non ci incontriamo a casa, preferisce un appuntamento, prima, alla etero. Andiamo in un pub che sceglie lui più o meno vicino a casa mia.
Lui è molto alto, stempiato, con barba, maschile, sospettoso, non mi dice dove abita,  mi critica la sfacciataggine del mio approccio in chat. Io non ricordo cosa gli ho detto mi riferisce che gli ho scritto  che lo avrei spompinato volentieri. Sì, è decisamente il mio stile.
Io rido gli rispondo che mi sembra una cosa carina da dire, ma lui è infastidito, con quella rigidità data da chi viene da un piccolo paese, e da chi è ancora molto dentro l'armadio, anche.

Ce ne andiamo, vuole pagare lui anche per me.

Io non so se tornarmene a casa e rivederlo un altro giorno oppure portarmelo a casa a fargli quella cosa carina che gli ho detto in chat.
Ma lui non è ancora convinto.
Mi sento un venditore di aspirapolvere sfortunato.

Non si tratta del mio aspetto fisico, per quello sono esattamente il suo tipo. Non è convinto se vale la pena rischiare. 
Rischiare cosa? Non mi risponde.

Mi porta all'Eur, al laghetto.
Lì al buio dei sentieri del lago artificiale penso che potrebbe anche avere una improvvisa reazione violenta, come si vede in fin troppi film, dove i personaggi omosessuali fanno sempre una brutta fine, per fortuna mia i sentieri sono frequentatissimi nonostante la tarda ora.
Lui continua a essere maledettamente serio, e teso.
Sembra più la fine di una storia che i preliminari di una scopata.

Io non faccio niente per piacergli, non insisto, anzi desisto, ignorando ogni cosa omofoba che gli sento dire. Quando ne ho le scatole piene gli chiedo se mi riaccompagna a casa. E' tardi e non sono più abituato a stare fuori così tardi.
Non è una scusa, è vero. E' un'abitudine presa con Daniele che non ho mai più del tutto abbandonata, nemmeno ora.
Posso fare tardi, ma sempre in casa, mai fuori per strada.

In macchina mi accarezza un ginocchio, in maniera galante, fosse un altro tipo di persona sarebbe andato dritto la sodo. Apprezzo i suoi modi etero.
Quando sono pronto per scendere e salutarlo parcheggia la macchina e sale con me.
Mentre saliamo le scale di casa inizia a mettermi le mani sul sedere. Appena chiudo la porta mi bacia.
Poi vede Cirillo e balzando come mi avesse visto impugnare una pistola mi dice ma hai un gatto! Sono allergico!

Ho sempre diffidato di chi dice di essere "allergico ai gatti".
Mi sembra un vezzo psicosomatico, una impuntatura ideologica, quasi una forma di ascetismo, come la scelta vegetariana.
Mi chiede delle buste di plastica per i vestiti.
Gliele do.
In canotta e mutande è dannatamente sexy.
Non posso evitare di mettergli la mano sul pacco.
Lui si agita ma mi lascia fare.
Mi chiede se posso aprire il divano letto che sul letto non vuole mettersi perché sicuramente sarà pieno di peli di gatto.
Facciamo un sesso calmo, dolce, intimo.
Non sembra affatto una scopata. Sembra l'inizio di una frequentazione. In realtà lo è, mio malgrado. Iniziamo a vederci per circa un paio di settimane.
Quando torna a trovarmi, un paio di giorni dopo, si è organizzato portando una vecchia tuta che indosserà solamente in casa mia.
Stavolta alle buste ci ha pensato lui. E' metodico, flemmatico, organizzato, efficiente. Io mi annoio, come ero annoiato con Daniele, bello, sexy, incredibile sia lì tutto per me ma... du palle!

Per me non ci sarebbe bisogno della tuta, mi piacerebbe vederlo camminare in mutande per casa, ma capisco che per lui sarebbe una mancanza di rispetto.  Formalità di provincia, ma non provinciali, che conosco bene avendole già trovate in Giancarlo, il mio ex.
Non le condivido ma non le disprezzo.
Sono fatte per una sincera attenzione.

La seconda o la terza volta, non ricordo più, che viene a trovarmi, dopo l'orgasmo, si addormenta su di me.
Resto una mezzora a vegliarlo,  la sua testa sul mio petto, il suo corpo sulle mie carni.
E' così inerme e così abbandonato, fuori da ogni controllo che cerca di darsi quando è sveglio, che mi fa tenerezza, come fosse un bambino da accudire.
Il suo seme è colato dappertutto, e resta lì, senza repentini ripristini di pulizia, proprio come piace a me.

E nel momento in cui lo accetto con tutti i suoi limiti, con la paura che lo fa vivere dentro l'armadio, la  diffidenza che non gli farà mai dire dove abita o lavora, capisco, anche, che con lui non potrò mai avere niente più di quel momentaneo flirt.
Che quello che voglio io in una storia è troppo distante da quello che lui è in grado di dare, adesso e forse sempre.
La paura di viversi una storia con un altro uomo, qualunque ne sia la caratura, alla luce del sole me lo fa sentire troppo lontano da me che mi sto appena riprendendo dal mio divorzio e non saprei accettare dei compromessi nemmeno lo volessi. E io non lo voglio. Io voglio amore e divertimento non ho bisogno di qualcuno da svezzare o accudire.

Una sera che siamo andati a mangiare una pizza si alza improvvisamente per andare in bagno.
Torna chiedendomi allarmato se possiamo andarcene. Gli chiedo di spiegarmi. Devo insistere per farmi dire che gli è saltato il ponte odontoiatrico.
Mi racconta di essere cresciuto con un difetto degli incisivi superiori che non sono mai cresciuti come dovevano e che un dentista sciagurato gli suggerì di togliere per sostituirli con un ponte che gli si stacca di continuo.
Lui è addolorato.
Gli chiedo di farmi vedere ma si schermisce, come lo avessi preso in giro.
Dice che è stata la pizza a farglielo staccare e che è riuscito a risistemare il ponte con la gomma da masticare.
Lui si vive questa cosa come fosse una menomazione grave, come credo debba viversi la sua omosessualità.
Vorrei prendergli le mani per fargli sentire che ci sono ma quel gesto, in un posto pubblico, lo imbarazzerebbe ancora di più.

Un giorno che mi chiama per organizzare il nostro prossimo incontro gli dico che ho una cena da me, vengono il mio ex col suo boy attuale e un altro amico.
Una cena per pochi, vuoi venire?
Mi dice che mi farà sapere, e non ne so più nulla.
Non mi richiama e io evito di cercarlo.

Penso che averlo invitato alla cena deve averlo preso come un invito a farlo entrare nella mia vita. Un invito troppo repentino.
Un errore imperdonabile.
Mi dispiace come quando ti accorgi che hai perso un bel film che facevano al cinema sotto casa.

Mi dispiace più per lui che per me. Io non ho più voglia di fare da infermiera a nessuno, tantomeno a uno che è così dannatamente dentro l'armadio quando io non potrei esserne più fuori.

Però il ricordo di averlo avuto addormentato, abbandonato, su di me, è ancora vivo e presente.

Un ricordo mio, non nostro.

Fa lo stesso.


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