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Un incontro a termine



Ormai faccio fatica a distinguere i ricordi tra le due villeggiature che trascorremmo a Civitanova Marche, abbandonando l'albergo per scegliere una casa in affitto.
L'unica maniera che ho per dividere i ricordi è il sentimento che li permea, di fastidio e dispiacere per il primo anno, di gioia e spensieratezza per il secondo.
Non ricordo più cos'à che mi diede fastidio la prima volta, ma forse la gioia della seconda fu quella  del ritorno, del ritrovare una città e la sua spiaggia, il suo mercato dove nonna andava a fare la spesa, ora che per lei la vacanza era solo a metà,  visto che doveva cucinare con annessi e connessi.
Ricordo un giorno che ci capitai da solo, fuori orario, al mercato e rimasi senza fiato per delle esalazioni di ipoclorito di sodio.
Non tanto da soffocarne, altrimenti non sarei qui, ma tanto da spaventarmi per quell'odore forte che proveniva dal nulla.
Ero un bambino, avevo 11 anni, giocavo ancora con le macchinine, una grande sui trenta centimetri che mi regalò mamma me la trascinavo dietro come un cagnolino di pezza, e iniziavo ad andare in giro da solo.
Passeggiate, strade, parchi gioco, negozi di libri, bancarelle di giocattoli, tutti da solo, per sottrarmi alla routine del mare, quella pozzanghera piena di alghe che era l'Adriatico, con le sue camminate immense il pomeriggio prima che l'acqua ti arrivasse alla cintola, e quel camminare nell'acqua bassa, novello o vetusto Cristo, alla ricerca di un po' di refrigerio, mi irritavano e facevano desistere da ogni ulteriore esplorazione.
Così i pomeriggi niente mare per me ma passeggiate, con un permesso strappato a mamma dopo tanta insistenza e che l'anno prima non avevo avuto, e allora era nonna a scortarmi pur di farmi contento.

Poi uno di quei pomeriggi in cui il richiamo del mare vinse su quello della città esplorai altri stabilimenti più o meno vicino al nostro e incontrai questo ragazzo alto alto, dal fisco magro anche se non palestrato, con un'abbronzatura uniforme e sexy, il capello lungo e mosso, la parlata elegante e forbita del nord, che iniziò a parlarmi.   Aveva la mia stessa età, era di marzo,  ma sembrava più grande.
Nessuna competizione tra di noi, nessun gioco da spiaggia, né palloni, nessun racchettone, nessuna palla da tennis, nessun going da far funzionare, clic clac coi quali non distruggersi le dita o piattelli che non ho saputo mai a cosa servissero.
Con Telemaco fu subito intesa, con lui sentivo di poter abbassare la guardia, di mostrarmi così com'ero perchè non cera nulla in me che destasse sospetti in lui e voleva continuare a parlare con me anche quando gli parlavo delle mie curiosità per il cielo stellato, i meccanismi interni degli oggetti da aprire e decostruire, i film, la musica, e la totale indifferenza per lo sport e ogni forma di fisicità.
Telemaco era un atleta e non aveva bisogno di correre sgangheratamente sulla spiaggia, si allenava all'aperto, sulla pista podistica, nella sua città che doveva essere Bergamo o Cremona o...
Telemaco mi aveva presentato i suoi io avevo stretto loro la mano e lui li aveva informati che saremmo andati a fare un giro.
Rimasi colpito dalla tranquillità con la quale lui comunicava coi suoi, senza quella tensione implicita che avevo io sapendo di dover contrattare ogni permesso fino all'inverosimile.
Iniziammo a vederci ogni pomeriggio alle tre, dopo pranzo.
Anche lui odiava la pennica come me e ci concedevamo lunghe passeggiate lente nelle quali ci raccontavamo paure e sogni, desideri e fantasie, voglie e disgusti.
Io ero molto attratto da lui fisicamente ma non sentivo affatto l'urgenza di doverci provare, perché non avevo il minimo timore di perderlo.
Sapevo che c'era, che sarebbe rimasto, che aveva voglia della mia compagnia, che non dovevo trattenerlo cercando di compiacerlo, o di sedurlo.
Certo mi sembrava di tradirlo perché gli tacevo il mio desiderio per lui (e gli altri maschi)  ma lui nemmeno una volta mi aveva parlato di ragazze quindi perché io dovevo parlargli dei ragazzi?
Dopo una settimana che ci frequentavamo fu lui a chiedermi di conoscere i miei.
Quell'anno nella casa che avevamo preso in affitto c'era una stanza in più per Luciano, l'uomo di mamma, che all'inizio ci raggiungeva nei fine settimana e poi era venuto fisso in vacanza con noi.
Io fui felice di presentare Telemaco a mia madre e a Luciano. Volevo sfoggiare la mia conquista, io che secondo loro ero troppo strano per avere un amico, e se lo avevo era strano come me, se non peggio. Stavolta potevo sfoggiare un ragazzo alto, bello e sportivo che era tutto quello che io non ero ma che, nonostante ciò, era mio amico e aveva piacere nella mia compagnia.
Telemaco si presentò e interagì con disinvoltura tanto con mamma quanto con Luciano, con una sicurezza di sé e una fluidità nel parlare che erano esattamente quelli che io reputavo perfetti. Un sogno. Un premio. Una botta di culo.
Poi, mentre parlava, non ricordo più di che, gli scappò un piccolo rutto che lui affrontò senza battere ciglio, chiedendo scusa e continuando a parlare, mentre io, al posto suo, sarei sprofondato.

Dopo una decina di giorni mi salutò, le sue vacanze erano finite se ne tornava a casa.
Non pensammo di rimanere in contatto, d'altronde due ragazzini di 11 anni non hanno ancora questa autonomia.
Nessuno dei due pensò alla possibilità.
Il nostro era stato un incontro a termine e ce lo eravamo goduto finché era durato.

Se solo avessi imparato a gestire le mie storie d'amore con uguale leggerezza mi sarei semplificato la vita.

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