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Negletto [100° post!!!]




Mia madre ha sempre avuto una postura altera, che si traduceva in una una vocazione spontanea ad isolarsi, a non gettarsi nella mischia, a non fare sodalizi col gruppo.
Mamma se lo sentiva rinfacciare dalle colleghe, quando passi cammini con la testa dritta e guardi davanti a te senza salutare nessuno e lo raccontava a nonna e a me che ero presente.

Un'alterità che ho agito anche io.

Mamma mi raccontava che pur di risparmiare i soldi lei non accettava mai quando qualche collega le offriva qualcosa da bere al bar per non avere poi l'obbligo di ricambiare e si raccomandava che io facessi lo stesso.

Questa sua raccomandazione è stata molto devastante per me e posso dire di esserne uscito solamente adesso, dopo i cinquant'anni.
Solo ora mi sono potuto permettere, emotivamente prima ancora che economicamente, di sedermi al tavolo di un bar e pagare cinque euro per un te senza temere che i bambini in Africa morissero di fame, per come mamma mi aveva lasciato intendere.
E se spendo qualche euro offrendo quel te anche a un amico, un'amica, non andrò di certo fallito e se fallisco chissenefrega.

Se anche io mi sono tenuto fuori dal gruppo però non era per risparmiare, ma per evitare responsabilità e impegni.

Ho sempre temuto che se frequentavo un gruppo di amici sottoscrivevo un obbligo di partecipazione ad vitam. 
E se a me il giorno dopo mi andava di stare da solo? O di partecipare a un altro gruppo? Se mi andava di vedere un componente o una componente del gruppo da solo?

La mia terapeuta mi ha fatto notare come questo senso d'obbligo emani da una mia visione rigida delle cose che non nasce veramente dall'esperienza, quanto piuttosto da una mia tendenza a scegliere tra un sempre e un mai assoluti.
Vero.

Credo però che dietro ci sia anche altro.

Credo che in questo mio atteggiamento di paura dell'obbligo del gruppo abbia espresso la mia paura e l'istintivo, conseguente rifiuto della consuetudine sociale, la cui pressione è ben più di un obbligo.

Mi dimentico sempre che lo scopo di ogni psicoterapia è quello di rimetterti in carreggiata e quella osservazione di Antonella pur non essendo sbagliata non ne è esente.

Ho sempre avuto orrore di quelle dinamiche di gruppo dove amici e amiche che si conoscono da anni, si vedono tutte le domeniche nella casa di campagna di uno di loro, e ripetono sempre lo stesso copione, nonostante le esperienze fatte vivendo li e le cambino. Queste riunioni familiari sono  finalizzate proprio al vaglio di ogni cambiamento e alle azioni conseguenti per ripristinare il modello di base senza i cambiamenti. E' questo il controllo sociale, quello che esiste in ogni compagine sociale, che proteggere lo status quo sociale, politico, economico, sul quale si fonda quel set di valori venga mantenuto per preservare quei valori, e guai a chi si discosta.

Ne ho avuto esperienza anche io nella comitiva di Fabrizio e Lello, quando ero ancora al liceo, che mi isoleranno ben presto, un pomeriggio che non essendoci un posto in macchina per me si guardarono bene dall'avvertirmi e mi lasciarono attendere all'appuntamento, fuori dall'ospedale dove mia madre era ancora ricoverata dopo l'intervento al cuore, per oltre un'ora. Lo so, potevo andarmene io prima, ma se arrivavano appena me ne ero andato?

E' quello che ho vissuto nei sette anni di storia con Daniele, frequentando il gruppo di amici e amiche sue, etero, tutti e tutte abbastanza ignoranti (nel senso di poco scolarizzati e scolarizzate), sprezzanti della mia curiosità, della mia volontà di precisare, di scavare, di spaccare il capello in quattro. Io pensavo fossero insofferenti al la mia pedanteria ma c'era dell'altro. me ne resi conto una volta che  giocavamo a indovina chi sei, un gioco nel quale devi indovinare il personaggio il cui nome ti è stato posto in fronte con un post-it, facendo domande alle quali si può rispondere solamente si o no.
Tiziana, la migliore amica di Dani, in fronte aveva un post-it con scritto Lupin ma le risposte che il resto del gruppo le stava dando erano riferite a Lupin III.
Quando feci notare la differenza venni preso per pazzo perché nessuno conosceva il personaggio di Arsenio Lupin (protagonista di un telefilm francese degli anni 70)  del quale Lupin III (protagonista di un anime giapponese trasmesso in Italia negli anni 80 e 90) è comunque il bisnipote.
Non essendone a conoscenza per loro il nonno non esisteva ed erano tutti e tutte abbastanza stupide da pensare che io stessi tirando su chissà quale pretesto. La mia precisazione non destò la loro meraviglia ma il loro sospetto. E io che temevo di essere quello rigido!

Ecco ripetersi il mio karma d'infanzia che mi destina sempre a non essere creduto, perché gli adulti non si davano la pena di credere a un bambino e, a quanto pare, nemmeno degli adolescenti cresciuti (gli amici e le amiche di Dani erano tutti e tutte intorno ai 30 e qualcuna vi era già entrata).

L'universo non è mai quello fenomenico ma sempre e solamente quello che già conosci.
Non c'è spazio per niente di nuovo.

Non perché non sia importante ma perché in quel consesso relazionale, non serve.

Questa impermeabilità alle nuove informazioni è diretta conseguenza dello scopo primario delle comitive: mantenere lo status quo, riportare al modello comune, cauterizzando ogni differenza, ogni sfumatura, ogni dettaglio dissonante, personale e se non unico, poco comune.

Non voglio apparire più misantropo di quel che non sono la mia insofferenza alle dinamiche di gruppo è spontanea e non volontaria anzi io ho sempre cercato disperatamente di appartenere a un gruppo ma finisco col rendermi conto che quest'appartenenza ha per me delle conseguenze altamente perniciose e deleterie. E me ne sottraggo sempre.
Quel pomeriggio di gioco nella casa di campagna del mio fidanzato sentii che la vita non era lì ed era vero!
Quelle riunioni servono anche a ripristinare la fisionomia della personalità di ognuno e ognuna spurgandole da ogni innesto di personalità altrui dato dall'esperienza.

Quel tipo di consesso amicale infatti prevede una rigida ruolizzazione e una personalità granitica e immutabile come quella di cui ha fatto esperienza mia sorella, cresciuta con una comitiva di amici, poche le amiche, che frequenta ancora oggi.

Una dinamica nella quale io non ho mai trovato spazio perché per me è vero il contrario.
Il consesso di amicizie a me congeniali è quello della differenza, della personalità variabile, della sperimentazione di innesti di caratteri e caratteristiche che di volta in volta possono dar vita a emozioni differenti a schemi diversi a punti di vista alternativi.

E da quella prospettiva che mia sorella mi accuserà di non avere una mia personalità perché mi vedeva permeabile alle consuetudini lessicali e prossemiche delle mie amicizie.

In questa dinamica oltre alla mia resistenza alla funzione conformizzatrice del gruppo  c'è in tralice la cassetta di mia madre quella che secondo Groddeck tutti e tutte suoniamo (we play)  che mi aveva impartito l'interdizione ad accettare qualsiasi invito da parte di qualsiasi persona amica per tema di dover ricambiare.

E' stato dolorosamente difficile per me imparare ad accettare la generosità degli amici, delle amiche, quando ti offrono una cena o un concerto perché sanno che altrimenti tu non te lo potresti permettere, senza che tu ti senta un profittatore o un ladro.

Le amiche e  gli amici.
Non mia sorella che si limita a chiederei come sto o se ho risolto quel certo problema senza mai chiedermi se mi serve qualcosa, qualsiasi cosa e non parlo solo del denaro.
Poi si meraviglia se non la cerco o non le rispondo.

Se non le rispondo è per risparmiarmi il dolore di doverle dire che mi fa male essere così negletto da lei.

Perché non c'è solo il dolore che provo per il suo comportamento ma anche quello che mi arriva dal  constatare che lei ha di quei comportamenti.

E anche questa è una costruzione sintattica inglese ché in italiano negletto è aggettivo e non verbo, ma dovreste averci fatto l'abitudine ormai...




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