Inesorabile, inarrestabile, instancabile, eterna
Non ricordo perché discutevamo, ma discutevamo.
Chi?
Io e mia madre, chi altre?
Eravamo a Cervia, ci trovavamo per strada, fuori dall'albergo.
Mamma era di partenza per Reggio Emilia, andava a trovare Mario il tipo col quale aveva una storia a distanza da qualche tempo, il contadino che ci dava i bottiglioni di vino che poi Mariella ci ammanniva a pranzo e cena.
Mamma concluderà nel tempo quella storia perché Mario voleva fare ben più cose con lei di quanto lei non fosse disposta a fare, adducendo noi come scusa per non fare quasi niente, tanto che Mario le aveva proposto di metterci in collegio e mamma si era rifiutata.
Credo anche io avrei reagito allo stesso modo, se il mio uomo è talmente stronzo da considerare mio figlio e mia figlia degli oggetti da spostare da casa mia a un deposito-collegio poi la voglia di farci delle cose mi passa, ecco.
Se sono così sicuro su Mario è perché conosco mamma e so come si comporterà con tutti gli uomini successivi, i figli sono un peso ma anche un paracadute per non fare troppo la donna, la compagna del maschio, s Enza una sua autonomia decisionale.
Mamma si sentiva sempre in colpa quando faceva quei viaggi a me invece l'idea di una mamma viaggiante non dispiaceva. La nozione che si vedesse con qualcuno mi sembrava l'espressione di un suo diritto, soprattutto se questo qualcuno viveva altrove e non interferiva sulla ginecrazia.
Ricordo piccoli racconti da viaggiatrice assidua che mamma ogni tanto condivideva anche come più che altro perché, ricontandoli a nonna quando ero presente anche io, non ne venivo escluso.
Così una volta aveva incontrato sul rapido (i primi timidi prodromi dell'alta velocità) il suo idolo di cantante, no, non Charles Aznavour, quello italiano, Peppino Gagliardi.
Ho ancora il disco che mamma suonava sempre, dove ci sono alcune canzoni che mi ricordo ancora by heart.
Ogni tanto mamma mi faceva dei piccoli regali del tutto inaspettati come una cucitrice portatile lunga non più di 5 cm, che ancora conservo e che per anni è stata il mio amuleto, il mio totem sostitutivo di mamma, quando mamma mi mancava tantissimo, non perché era assente ma perché mi allontanavo io precipuamente per andare a scuola.
Ricordo anche una discussione con nonna, ignoro il motivo ma l'argomento non poteva che essere la sua partenza per quel di Mario.
Ricordo mamma che se ne va piccata e nonna che, dopo che mamma si è chiusa la porta di casa dietro le spalle, le grida dietro puttanona una parola, una considerazione, che, avrò avuto 10 anni, mi sorprese molto visto che mamma stava vedendo solamente un uomo mentre per quel che ne sapevo io una puttanona era una donna che aveva tanti uomini...
Quel pomeriggio a Cervia mia madre per la sua visita frettolosa da Mario indossa un tailleur celeste dal quale fa sfoggio una camicia dal largo colletto, sul quale mamma ha appuntato una rosa di stoffa color panna, sembra quasi Mina.
Mamma non vuole che io stia fuori dall'albergo da solo.
Mi dice che non si fida, che ha paura delle automobili, che possa finirci sotto.
Dice proprio così invece di dire investito.
Io le sto strappando la concessione a una mia esplorazione solitaria fuori degli spazi consentiti facendo leva sul suo senso di colpa per starci abbandonando con nonna.
Mamma però non si limita ad esternare le preoccupazioni materne, su di me esprime un giudizio duro, severo, dicendo che non si fida perché sono borzo.
Io mi impermalosisco come solo io so fare e sono ancora di più convinto di volermene andare in giro da solo non so a fare che, solo per dimostrarle che si sbaglia.
Oggi penso che probabilmente avrei solo voluto accompagnarla alla stazione ma non ebbi il coraggio di chiederglielo.
Poi, ci salutiamo e ci allontaniamo, in direzioni opposte.
Attraverso quasi subito la strada forzandomi di non guardare ai lati mentre attraverso.
Non so perché faccio un gesto così stupido.
Mi devo vergognare a guardare.
Forse penso che se guardo a destra e sinistra tradisco una mancanza di fiducia in me stesso, che se ho confidenza in me stesso (lo so è significato inglese...) devo andare avanti e diritto senza guardarmi intorno come fa mamma nei corridoi dell'ufficio, senza guardare nessuno.
Uno sicuro di sé attraversa senza guardare.
Sono un bambino stupido, ma dopo tutto ho solamente otto anni.
Non credo di avere davvero paura di attraversare la strada, vado a scuola da solo già da un pezzo e nel tragitto devo attraversare una strada dove passa l'autobus, sono abituato.
Credo che ho paura di mettermi alla prova. Ho paura di scoprire di avere difficoltà.
Che se guardo a destra e sinistra magari mi spavento e non riesco ad attraversare, e ammettere di essere in difficoltà darebbe ragione mamma.
Oppure penso solo che se guardo a destra e sinistra posso rendermi conto di un ostacolo che mi impedirebbe il cammino e questo non lo posso tollerare. Misurarmi con la realtà mi fa temere sempre mi crei degli ostacoli imprevisti e insormontabili ai quali dovrei rassegnarmi.
Meglio fare finta di niente e non provare nemmeno a registrarli gli ostacoli.
Così attraverso senza guardare e una signora in macchina si deve fermare per non mettermi sotto.
Non inchioda, non deve andare troppo veloce e io sono abbastanza lento quando attraverso da essere perfettamente visibile, diciamo che la mia attraversata di carreggiata la costringe a fermarsi, io non mi volto a guardarla nemmeno quando lei mi dice con aria risentita ma... bambino!
Dice proprio così bambino.
Non sono una persona, ma una categoria.
Mi volto solamente allora, non verso di lei, ma in direzione di mia madre che è a qualche centinaio di metri di distanza, e deve avere sentito il rimprovero della signora anche lei. Mamma non è preoccupata né allarmata, sta scuotendo la testa, delusa, perché è successo esattamente quello che lei aveva preconizzato: sono borzo, non sono capace di attraversare nemmeno la strada.
Per difendermi dal disprezzo di mamma ho appreso a far finta di niente e a non guardarmi
Ancora oggi devo ricordarmi che posso girare il collo e guadare tutto quello che c'è intorno a me altrimenti rischio di passare davanti le cose e di perdermele.
Su una cosa Groddeck ha ragione: per quanto uno possa imparare a sottrarsi alla cassetta di sua madre quella continua a suonare sempre e quando non ti riesce di fermarla lei prosegue imperterrita, inesorabile, inarrestabile, instancabile, eterna.
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