Un altro canotto - Le sere del Pantheon 1.
Una sera vado all'Alibi con Claudio e il suo fidanzato Patrizio.
Ero geloso di Patrizio. Era una checchina acida, bruttina di viso, più bassa di Claudio ma dal corpo tonico e palestrato. Un classico esempio di ragazzo gay.
Che Claudio stesse con lui e non con me era un affronto e un sollievo allo stesso tempo.
Un affronto perché di viso io ero più carino di Patrizio (hai visto Antonella? Ho scritto più carino, non meno brutto) un sollievo perché se Claudio aveva preferito Patrizio a me significava che io avevo poco a che fare con Patrizio e anche con Claudio!
A lui piaceva la forma mentre io ero tutta sostanza (no stronze, cosa avete capito, ero magra all'epoca). Insomma siamo all'alibi tutti e tre.
Io avevo fatto la mia porca figura quando l'Angelona mi aveva accolta a braccia aperte e avevamo saltato la fila tutti e tre, però in disco non avevo conosciuto nessuno, non c'era nemmeno Davide, solo gente estranea per la quale ero trasparente.
Quando Patrizio propone di andarcene, prima del solito, io non dico di no e li seguo dall'uscita laterale, che è più vicina a dove ha parcheggiato la macchina.
Proprio sulla soglia dell'uscita c'è questo ragazzone alto, giovane, non bello ma sexy.
Io gli passo davanti e lui mi fa Che non mi saluti? Gli chiedo se ci conosciamo e lui mi risponde, certo sono Alessandro non ti ricordi?
Mai credere a un gay che giura di dire la verità.
Così mentre Alessandro sta tranquillamente cercando di attaccare bottone con me col metodo indiretto che si usa tra gay (Bella camicia=voglio il tuo culo) io, ignaro come un canotto, cicinschio sbirciandolo di sottecchi, cercando di capire chi sia, mentre lui insiste che frequentavamo la stessa scuola.
Ma no, non mi pare. Gli dico io in buona fede, mentre lui, sadico, capita la mia totale imbecillaggine, mi sta passando alla graticola, ridendo sotto i baffi che non ha.
Claudio e Patrizio mi aspettano, spazientiti, e non pensando sia così tanto sprovveduta imputano il mio attardarmi a uno scortese flirt improrogabile.
Alessandro, notando che l'ambascia mi sta facendo diventare cianotico, mi scioglie dall'imbarazzo dicendo sardonico Va beh, c'ho provato.
Il rumore della mia mascella che precipita a terra viene coperto dalla voce di Patrizio che strilla, querulo, Ale noi andiamo tu che vuoi fareee?
Immaginatevi un ragazzino di 20 anni magro magro, coi capelli corti, tranne un vistoso ciuffo indomito sulla fronte e un tenue codino dietro, contorcersi come un personaggio dei disegni animati mentre cerca disperatamente di acquisire il dono dell'ubiquità e cercare di raggiungere Claudio e Patrizio (ormai giunti alla macchina) e rimanere contemporaneamente davanti ad Alessandro per dirgli scusami sono un deficiente patentato, eccoti il mio numero di casa.
Uno sforzo inane e inutile perchè Alessandro ha già girato i tacchi in cerca di qualcuno meno sprovveduto di me.
Così eccomi in macchina con Claudio, Patrizio, la coda tra le gambe e un altro canotto collezionato.
E proprio mentre il sorriso ebete che mi era rimasto sulla faccia da quando Alessandro ci stava provando con me si sta lentamente trasformando in un sorriso di orgoglio (il mio primo quasi rimorchio) Claudio mi dice Lo conosco quel ragazzo. Ci prova con tutti.
Ora il sorriso somiglia più a un'emiparesi...
Resosi conto che ho accusato il colpo Patrizio, improvvisamente umano, mi dice ho il suo numero, se vuoi te lo do.
Quel numero di telefono mi brucia in tasca per circa 10 giorni.
Non ho il coraggio di chiamare Alessandro.
Prima, mi dico, per la figura barbina che ho fatto ieri sera... l'altroierisera... tre sere fa... una settimana fa!!!
Poi, a figura barbina metabolizzata, non lo chiamo perchè che diavolo gli dico al telefono?!?!!?
Un pomeriggio, invece di studiare per il compito in classe di matematica che ho il giorno dopo, senza preavviso, prendo la cornetta e compongo il numero.
Pronto? mi fa Alessandro.
E io, tutto di un fiato, CiaoAlessandrosonoAlessandro e lui, prima di darmi il tempo di spiegargli come e dove ci siamo conosciuti e chi mi ha dato il suo numero di telefono mi accoglie con un caloroso Aaaaleee (Alessandro ha il vizio di trascinare le vocali) che sorpresa!!! Come stai?
Se mi aveste potuto vedere, avreste notato lo stesso sorriso ebete che avevo in macchina con Claudio e Patrizio, mentre rispondo con voce liquida bene.
Hai fatto proprio bene a chiamarmi continua intanto Alessandro sollevandomi dall'obbligo, penso, di spiegargli chi mi ha dato il suo numero.
E mentre il sorriso ebete mi si istalla definitivamente sulla faccia Alessandro mi chiede ma poi l'altra sera ce l'hai fatta a prendere l'ultimo autobus o hai dovuto aspettare il notturno?
Io che temo di essere in un universo parallelo dove un altro Alessandro e un altro me stesso si sono già visti (me lo ricorderei...) balbetto confuso quale, quale sera?
Alessandro, per niente spazientito dalla mia tontaggine, ribadisce due sere fa, quando sei uscito da casa mia sei poi riuscito a prendere l'autobus?
Io, con la sincerità dei puri, gli confesso Ma io non ci sono mai venuto a casa tua...
Al che Alessandro mi chiede improvvisamente serio Ma allora chi sei, scusa?
No. Non riaggancio il telefono.
Sprovveduta sì ma mai prevedibile.
Spiego ad Alessandro per filo e per segno del nostro incontro, quasi due settimane prima, lui che aveva provato a conoscermi, io che avevo preso per vera la sua scusa per fermarmi (Ciao, ci conosciamo vero?) e lui di nuovo cordiale e divertito dal mio racconto, ricordando perfettamente tutto, invece di chiedermi e chi diavolo ti ha dato il mio numero di telefono mi dice a bruciapelo che fai domani pomeriggio, ti va di vederci?
Ora sì sono tentato di riagganciare... E' allora che mi dà appuntamento a Piazza del Pantheon.
- Ce la fai per 18 e 30?
- Temo di no esco da scuola alle 18...
- Va beh dai, ti aspetto
E già sento di volergli bene.
Quando esco trafelato da scuola è già buio, anche se siamo appena a metà ottobre.
Odio l'orario di pomeriggio. Odio che in autunno fa buio il pomeriggio è qualcosa di sporco, di non naturale di terribilmente losco.
Io che per non andare mai di fretta preferisco uscire anche un'ora prima del dovuto mi ritrovo a correre da largo Argentina per andare a piazza della rotonda all'appuntamento con Alessandro.
Sono le 18 e 47, ho quasi 20 minuti di ritardo. Il compito in classe di matematica è stato un disastro ma avrò tempo di preoccupamene dopo.
Quando vedo Alessandro davanti alle scale della fontana, sul lato prospiciente il Pantheon, rallento il passo e mi chiedo come sto, se ho i capelli fuori posto, se non apparirò tropo trafelato, troppo sudato, troppo qualcosa, o magari troppo poco.
Mentre mi sto ancora a preoccupare Alessandro mi vede, mi sorride e mi chiama con la sua voce allegra, trascinando un po le vocali. Aaaleee dice venendomi incontro e mi abbraccia e mi bacia come fossimo vecchi amici.
Hai visto che ce l'hai fatta? continua, mentre mi fa festa, le sue mani sulle mie spalle. Infatti sono le 18 e 52 gli rispondo, ma lui non sembra fare caso al mio ritardo.
Non so dove andremo o cosa faremo.
So solo che è il mio primo appuntamento con un ragazzo gay, conosciuto all'Alibi, una discoteca gay.
Ho 20 anni ma mi sento un quindicenne in ambasce.
Non pensiate a una distrazione letteraria.
A 20 anni andavo ancora a scuola perché ero stato bocciato, per ben due volte, in prima (a Giugno) e in quarta (a Settembre).
Frequentavo la classe quinta, ed ero al mio settimo anno di Liceo, lo Scientifico M. (non è per nascondere il Liceo, che è il Morgagni, è che M. fa tanto Marquise von O.)
Sono al mio primo appuntamento con un altro gay come me e mi sento un pesce fuor d'acqua perchè non so minimamente come due gay si comportino al primo appuntamento.
Non voglio apparire inadeguato, o, peggio, naïf.
Non posso sembrare inesperto io che in classe ho la fama di viveur (sono dichiarato anche se non ho uno straccio di ragazzo da sfoggiare...).
I mie compagni di classe, di due anni più piccoli di me, si immaginano che la mia vita da gay sia fatta di nottate in discoteca e tanto libertinaggio.
E' un po' la vita che mi immagino anche io, se solo riuscissi a viverla.
Ma non so come si fa!!!
Così eccomi a piazza del Pantheon, ancora tutto trafelato, a domandarmi come si comporterebbe un vero gay, pardon, un vero viveur, al posto mio, quando Alessandro ha già smesso di farmi le feste e si guarda intorno. Deve arrivare la mia amica Tamara, dice. Andiamo a casa mia. Mia madre ci sta aspettando per cena.
Ah, rispondo io laconico, malcelando la delusione per il programma che Ale mi ha appena prospettato, ben diverso dalla serata gay che mi ero immaginato con un po' d'ansia per l'incognita che essa rappresenta per me, ma che, comunque, pensavo, che dico, ero sicuro, prevedesse solo la presenza di noi due. Io e Ale. Ale e me. I due Ale. Noi.
E basta.
Non anche una sua amica femmina (e se mi fossi sbagliato? Se ad Ale non solo non piaccio io ma non piacciono proprio i ragazzi?! Se preferisce le ragazze come questa Tamara?)
Alessandro, pensando che sia rimasto deluso dalla presenza prospettata di sua madre mi tranquillizza dicendo Non ti preoccupare per mia madre. Mi ha avuto quando aveva 17 anni. Siamo più due amiche che madre e figlio.
Due amiche. Al femminile. Ha detto proprio così.
Quell'aggettivo non mi rassicura affatto, anzi, mi infastidisce e mi crea imbarazzo.
Poi arriva Tamara.
La vedo da lontano, dinoccolata, avvicinarsi a noi.
Piccola di statura eppure slanciata, coi capelli corti alla maschietta, spavaldamente femminili.
Indossa un trench beige, che le stringe la vita evidenziandone il personale minuto, i fianchi stretti, le gambe affusolate.
Mi ricorda subito Audrey Hepburn, mentre avanza quasi trotterellando, ignara del fascino che esercita su chiunque la guardi.
Su di me ancora di più, perché il suo essere femminile non è pensato per piacere al maschio, ma per stare bene con se stessa.
Quasi quasi mi scordo del motivo per cui sono lì.
Ale la saluta con un ostentato e crudele Taaampaaax e la abbraccia con lo stesso trasporto che ha dimostrato per me.
Ne proverei smarrimento se non fosse per quel nome storpiato così vigliaccamente misogino che non posso non notare, e odiare. Tamara però sembra non farci caso e lo saluta con calore, subito incuriosita dalla nuova presenza. Cioè me.
La sua curiosità mi lusinga. Mi fa sentire un ragazzo desiderato dalle donne.
Con Tamara la mia maschilità non è messa in discussione, perché Tamara non pensa o allude al sesso, come mi è capitato qualche volta in discoteca con altre ragazze, con le quali alla prima palpata mancata, al primo bacio non dato, mi sentivo chiedere ma non ti piacciono le donne?
Tamara mi fa sentire il maschio galante, accetta lusingata i miei complimenti sulla sua mise, mi parla con un sorriso intelligente, svela una mente brillante, si cimenta in una conversazione divertita e seducente, tanto che è Alessandro adesso a trotterellarci dietro, troppo preso a trovare un soprannome per me, spero non odioso come quello che ha scovato per Tamara, per accorgersi che ci ha persi.
Poi, non ricordo più come, ci ritroviamo sul 46, gremitissimo, in viaggio per casa sua, lontanissima e fuori mano.
Io e Tamara continuiamo a conversare anche se io sono distratto perché temo di stare trascurando Ale e che lui possa pensare che Tamara mi piaccia più di lui, proprio come l'ho pensato io di lui nemmeno mezzora prima.
Tamara mi parla, ignara della tresca frocesca che si svolge tra Ale e me.
Ale, infatti, ha intuito la mia preoccupazione e si pavoneggia, proprio come la sera che mi ha fermato all'Alibi. Mi guarda da dietro le spalle di Tamara, sovrastandola dal suo metro e ottanta. Mi fa l'occhiolino e mi sorride e io mi perdo nel suo sorriso tanto che devo farmi ripetere una seconda volta quel che Tamara mi sta dicendo sui Frankie Goes To Hollywood.
Mentre mi fa l'occhiolino e mi sorride alle spalle di Tamara penso che Alessandro mi piace proprio e torno a desiderare che lei non ci sia per stare da solo con lui.
Mentre mi fa l'occhiolino e mi sorride alle spalle di Tamara penso che Alessandro mi piace proprio e torno a desiderare che lei non ci sia per stare da solo con lui.
Prima che mi possa fare schifo da solo, Ale ci dice che dobbiamo scendere allora ci districhiamo verso la porta centrale.
Dopo aver percorso una strada in salita che non smorza gli entusiasmi nostri siamo già a casa di Alesandro.
Saluti e convenevoli mentre cappotti e trench finiscono sul letto della spartana stanza letto di Alesandro.
Tamara si liscia la gonna nera a tubo e si riassesta i capelli con un gesto sapiente delle mani che le invidio, io che quando mi tolgo il cappello ho sempre il capello fuoriposto.
Soprattutto un ciuffo frontale che mia madre chiamava della pecora del Lauril. Ma la pecora del Lauril non aveva nessun ciuffo quindi non ho mai capito a cosa si riferisse...
La mia giacca usata, comprata a via Sannio a 20 mila lire, tiene miracolosamente la piega.
Alessandro indossa un blazer nero aderente che gli sta a pennello.
La madre di Alessandro è una ex teenager dalla bellezza avvizzita, i capelli biondi, la voce inrauchita dalle sigarette, il passo reso indolente da una canna che ci offre come benvenuto e che io declino educatamente mentre Alessandro fa un tiro svogliato.
Mentre la pasta viene calata e la canna, alla quale al secondo invito non ho saputo dire di no, viene fumata e spenta, Tamara e Stefania conversano e Alessandro si offre di farmi fare un tour della casa.
Alessandro scende per primo, io gli sono subito dietro, così ci giriamo entrambi e prendiamo Tamara per mano e lei scende con un balzo e tutti e tre ridiamo, e dall'autobus qualcuno si sporge dalla sedile per vedere quell'eccentrico trio.
Ho scritto eccentrico? Meglio straordinario. E' l'aggettivo che ci si addice di più.
Ho scritto eccentrico? Meglio straordinario. E' l'aggettivo che ci si addice di più.
Per come camminiamo spavaldi, per come ridiamo felici cingendo entrambi le spalle di Tamara è chiaro a tutti che la città è nostra.
Peccato che siamo a Boccea e non più al Pantheon.
Dopo aver percorso una strada in salita che non smorza gli entusiasmi nostri siamo già a casa di Alesandro.
Saluti e convenevoli mentre cappotti e trench finiscono sul letto della spartana stanza letto di Alesandro.
Tamara si liscia la gonna nera a tubo e si riassesta i capelli con un gesto sapiente delle mani che le invidio, io che quando mi tolgo il cappello ho sempre il capello fuoriposto.
Soprattutto un ciuffo frontale che mia madre chiamava della pecora del Lauril. Ma la pecora del Lauril non aveva nessun ciuffo quindi non ho mai capito a cosa si riferisse...
La mia giacca usata, comprata a via Sannio a 20 mila lire, tiene miracolosamente la piega.
Alessandro indossa un blazer nero aderente che gli sta a pennello.
La madre di Alessandro è una ex teenager dalla bellezza avvizzita, i capelli biondi, la voce inrauchita dalle sigarette, il passo reso indolente da una canna che ci offre come benvenuto e che io declino educatamente mentre Alessandro fa un tiro svogliato.
Tamara mormora tra sé, credo non abbia apprezzato l'offerta e non commenti a voce alta per educazione.
Senza essere davvero invitati seguiamo tutti la madre di Alessandro - chiamatemi Stefania - in cucina, dove la pentola dell'acqua per la pasta è già sul fuoco.
Avete fame? ci chiede Stefania, flemmatica, ma allegra. Aspettiamo Ale dice Alessandro appena infastidito dal ritardo del suo amico.
Un altro Alessandro.
Il terzo, sì.
Non è una scarsa fantasia da blogger ma la verità. Eravamo tre Alessandri.
La realtà è spesso più incredibile della finzione.
Senza essere davvero invitati seguiamo tutti la madre di Alessandro - chiamatemi Stefania - in cucina, dove la pentola dell'acqua per la pasta è già sul fuoco.
Avete fame? ci chiede Stefania, flemmatica, ma allegra. Aspettiamo Ale dice Alessandro appena infastidito dal ritardo del suo amico.
Un altro Alessandro.
Il terzo, sì.
Non è una scarsa fantasia da blogger ma la verità. Eravamo tre Alessandri.
La realtà è spesso più incredibile della finzione.
Mentre la pasta viene calata e la canna, alla quale al secondo invito non ho saputo dire di no, viene fumata e spenta, Tamara e Stefania conversano e Alessandro si offre di farmi fare un tour della casa.
Pareti spoglie, bianche, arredo rado e minimale con molti punti luce che creano tanti piccoli spazi diversamente illuminati.
Alessandro mi invita a sedere sotto un lume anni 50 su una sedia in similpelle verde bottiglia e dalle borchie ramate, ma io mi limito ad apprezzarne il design invece che sedermici sopra.
Intanto una bottiglia di vino viene stappata e prima che possa reclamarne un bicchiere la pasta è già cotta e Stefania ci porge un piatto generoso e ricco di condimento.
Intanto una bottiglia di vino viene stappata e prima che possa reclamarne un bicchiere la pasta è già cotta e Stefania ci porge un piatto generoso e ricco di condimento.
Siamo lì, accampati in cucina, Alessandro e Tamara seduti al tavolo per due, io e Stefania in piedi, la forchetta che sta pescando i primi spaghetti dal piatto, quando suona il citofono.
Ci fermiamo tutti con lo spaghetto che penzola dai rebbi mentre Stefania dice Il tuo amico! con lo stesso tono con cui potrebbe dire la polizia!
Ci fermiamo tutti con lo spaghetto che penzola dai rebbi mentre Stefania dice Il tuo amico! con lo stesso tono con cui potrebbe dire la polizia!
Svelti svelti, prosegue ognuno metta un po' della sua pasta qui, ci comanda porgendo un piatto vuoto così Ale non saprà mai che non avevamo pensato a lui.
Scoppiamo tutti in una risata, tranne Alessandro che è andato ad aprire la porta.
Così quando Alessandro, il nuovo arrivato, entra in cucina la risata ci si spegne in gola repentina come era nata. Alessandro ci guarda imbarazzato, e, diventando subito rosso in viso, dice scusate per il ritardo.
Ma che ritardo! gli risponde Stefania mettendogli in mano il piatto di pasta rimediato sei uno di famiglia!
Ma che ritardo! gli risponde Stefania mettendogli in mano il piatto di pasta rimediato sei uno di famiglia!
Appena Ale assaggia la pasta scoppiamo di nuovo tutti a ridere e lui deglutisce il boccone guardandoci con aria interrogativa, è Alessandro a dirgli, non ti avevamo contato, ognuno ti ha dato due forchettate del suo piatto.
Sì ma non avevamo ancora cominciato aggiunge Stefania mortificata.
Ale, che si è fatto ancora più rosso in volto, sorride ad Alessandro e capisco subito da come indugia nel guardarlo che prova qualcosa per lui.
A me l'Ale ritardatario è piaciuto dal primo momento che l'ho visto, quando un'ondata di calore mi è salita dal coccige su per la spina dorsale e si è irradiata in ogni fibra del mio corpo.
Sì ma non avevamo ancora cominciato aggiunge Stefania mortificata.
Ale, che si è fatto ancora più rosso in volto, sorride ad Alessandro e capisco subito da come indugia nel guardarlo che prova qualcosa per lui.
A me l'Ale ritardatario è piaciuto dal primo momento che l'ho visto, quando un'ondata di calore mi è salita dal coccige su per la spina dorsale e si è irradiata in ogni fibra del mio corpo.
Non è desiderio sessuale, come quello che mi ha ispirato Alessandro sin da quella sera all'Alibi.
Guardando Ale mi immagino una vita insieme, noi che passeggiamo per le vie di Roma, o usciamo da un cinema mentre commentiamo il film appena visto, ridendo e discutendo animatamente, oppure mentre prendiamo un caffè al bar di un museo, o di un teatro, come in una sequenza di montaggio di una commedia cinematografica, quando non si sentono i dialoghi ma una musica di commento, solo che la musica stavolta è il battito del cuore che mi rimbomba nelle orecchie.
Guardando Ale mi immagino una vita insieme, noi che passeggiamo per le vie di Roma, o usciamo da un cinema mentre commentiamo il film appena visto, ridendo e discutendo animatamente, oppure mentre prendiamo un caffè al bar di un museo, o di un teatro, come in una sequenza di montaggio di una commedia cinematografica, quando non si sentono i dialoghi ma una musica di commento, solo che la musica stavolta è il battito del cuore che mi rimbomba nelle orecchie.
Corro dietro questa fantasia solo per pochi secondi, ma Ale, che non è affatto sprovveduto, se ne accorge e da come mi guarda sembra che abbia visto anche lui quel che mi sono immaginato.
I nostri sguardi si incontrano e io non posso evitare di abbassare il mio, quando torno a guardarlo Ale è già così vicino che mi porge la mano mentre mi dice Mi chiamo Alessandro e tu?
Anche io, gli balbetto e l'altro Ale, il padrone di casa, commenta ironico che ci sono troppi Alessandri nella stessa stanza.
Anche io, gli balbetto e l'altro Ale, il padrone di casa, commenta ironico che ci sono troppi Alessandri nella stessa stanza.
(continua)
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