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Tina e le altre


Arriviamo a Terracina in piena notte.
Non so perché.
Magari saranno state le nove di sera ma a me sembra comunque molto tardi.
Avrò cinque anni, Silvia è ancora in fasce.

Appena arrivati Zia Clara mi porta al porto vicino casa e mi presenta ai figli e alle figlie del vicinato.
Il porto è buio, io ho una torcia a pile che mi sono fatto regalare da mamma.
Quando Zia mi presenta i bambini e le bambine dicendomi i loro nomi io manovro la torcia accendendola e spegnendola sui loro visi così che compaiono e scompaiono alla vista a seconda della presentazione,  un bell'effetto teatrale.
Mi sento audace in quel gesto che compio con disinvoltura e questo mi sostiene.
Loro stanno al gioco.
Poi dopo aver catturato l'attenzione con così tanta tecnologia iniziamo a parlare.

Quanti anni hai, che classe hai fatto, dove abiti, di che squadra sei? i soliti convenevoli.
All'epoca era troppo difficile dire che non tifavo per nessuna quadra.
Non era un modo per troncare l'argomento calcio, come succede oggi.
Tutti, e tutte, insistevano con mille domande, ma dai, e perché? E come mai? spiegami. 
Così mi ero scelto la squadra antagonista, bastiancontraria, la Lazio, e dicevo che tifavo per quella.
Un paio d'anni dopo che tifo la Lazio, la squadra vince lo scudetto e mi tocca trovarne un'altra visto che la Lazio non è più  la squadra perdente.  Mi comperai anche il 45 giri con la canzone dello scudetto: La Lazio ce l'ha messa proprio tutta, e mo s'e guadagnata lo scudetto. Un orrore. Come il calcio.
Desistei definitivamente. Io non tifo il calcio mi annoia a morte, fine della storia.

Così quella sera dissi sono laziale. Chissà che pensarono di me.
Poi mi mostrano i segreti di quella spiaggia buia e bagnata e la mia torcia torna utile per illuminare anfratti che per me sono nuovi mentre loro ci si districano ad occhi chiusi.
C'è un ragazzo che mi piace. Ce n'è sempre uno!
Ha un anno più di me, è molto serio, mi immagino che abbia notato subito la mia curiosità e che non capisca.
C'è anche una ragazzina, Tina.
Sdentata e un poco cicia, col capello corto, a torso nudo come i ragazzi, mi sorride e inclina la testa.

Mi dico che lei può essere la mia ragazza con la stessa attitudine con cui scegli un'automobile.

Questa macchina mi si confà perché è bella da vedere, facile da guidare, non va molto forte, così non devo dimostrare di essere bravo a guidare, sono già intenerito e cicio a mia volta.
Lei mi sorride ancora, io inclino la testa in maniera speculare alla sua e le sorrido a mia volta.

Con lei trascorrerò giorni a costruire insieme castelli di sabbia, a fare passeggiate  sul bagnasciuga, foto che io chiedo a mamma di farci. Le ho ancora.
Gli altri ragazzini stanno tra di loro, vanno ad arrampicarsi sugli scogli,  a correre, a nuotare.
Io ignoro queste azioni performanti, le temo, le evito, Tina è la mia ancora di salvezza.

Non mi interessava affatto pendere dagli scogli per prendere i granchi.
Stavo bene lì dove ero, accanto a Tina.

Ero giusto un poco distratto dal ragazzino serio, quello che mi piaceva, che mi teneva d'occhio,  curioso e confuso, mentre ero con Tina.

Fossi stato etero sarei stato il bambino più felice della Terra.
Conoscevo le aspettative femminili e sapevo allinearmene in maniera precisa. Ma quella conoscenza non mi portava nessuna gioia, perché non era sulle ragazzine che volevo fare colpo.

Viviamo e cresciamo in società schizofreniche che impongono a ragazzi e ragazze una segregazione di genere che costringe loro ad adeguarsi a due stili e comportamenti di vita completamente diversi senza avere mai l'occasione per conoscere e confrontarsi con l'altro stile.

Poi quando raggiungiamo l'età dell'amore e dell'accoppiamento veniamo gettate e gettati in un'acqua che non conosciamo e dobbiamo cercare di nuotare con uno stile che non abbiamo mai sperimentato e veniamo giudicati e giudicate male se nuotiamo a crawl quando tutte, tutti, si aspettano un elegante stile rana.

Io ho sempre pensato di essere un maschio inadeguato (non perché omosessuale, o mia dea no!) perché incapace di performare quel certo stile maschile che io non conoscevo e che non era nelle mie corde.

Non esistono comportamenti di genere innati, la facilità e la difficoltà che incontriamo nell'adeguarci dipende dalla distanza o dalla vicinanza della nostra indole con i ruoli che siamo chiamati e chiamate a ricoprire, performare, interpretare, ricoprire se abbiamo fortuna indole e ruoli coincidono altrimenti... Altro che maschi alfa!
Questo però  l'ho capito adesso.

Allora pensavo che il correre, il saltare, l'arrampicarmi, l'andare in bici, sui pattini, giocare a pallone, fossero tutte cose connaturate al corpo umano, al corpo umano maschile e se io non riuscivo a farle era perché c'era qualcosa che non andava nel mio corpo maschile. Un corpo fallato.

Conoscendo meglio i ruoli dell'altro genere ho vissuto coi maschi la stessa difficoltà che gli altri maschi si vivevano con le ragazze, imparando a navigare a vista proprio come io facevo con loro.

Solo che i ragazzi lo hanno dovuto fare nella prima adolescenza io nella mia prima infanzia, quando la segregazione di genere mi imponeva la oro compagnia che per me implicava un confronto inevitabile del quale avevo un timore mortale. Meglio una fidanzata ciccia che arrampicarmi sugli scogli...

Mi sento improvvisamente orgoglioso di tutte le gaffe, di tutte le difficoltà che ho dovuto affrontare prima, molto prima degli altri ragazzi.
Non posso dirmi davvero così borzo e inadeguato.

Le mie fidanzatine erano i simulacri di un desiderio pro-forma che rivolgevo verso di loro e non verso i ragazzi perché lo potevo scimmiottare solo con le ragazze
Il desiderio etero è considerato talmente universale che ha senso, è lecito, è giustificato, anche quando lo emuli, nessuno ti verrà a dire che non è vero perché non lo performi.

Viceversa il desiderio omoerotico,  è percepito sempre solo come una cosa concreta e tangibile che dunque è tale solamente quando lo performi perché non ha (non aveva) alcun sostegno sociale e nessuno riconosce(va) la dignità e il significato del gioco emulativo.
Al massimo ne tollera la messa in atto concreta meravigliandosi poi che qualcuno voglia essere gay o lesbica anche prima o dopo l'atto sessuale.

Con Mariella potevo permettermi di essere il fidanzatino platonico, anche se bambino, perché accennavo a quel che sarebbe stato dopo, col barista al quale avevo impallato il jukebox no.

Ancora oggi mia sorella mi dice che io ostento quello che per lei è una questione di camera da letto che non ha motivo di essere portata in società.

Tina durò poco, come l'estate in cui l'avevo frequentata.

Quello stesso autunno scelsi  Mariagrazia.
La mia seconda fidanzatina era più muliebre di Tina, l'aggettivo è fuorviante perchè Tina aveva cinque anni e Mariagrazia sette. Però Mariagrazia era meno cicia di Tina, più naturalmente donna in erba, in erbissima, ma donna, mora, seria, intelligente, per niente sottomessa al maschio (che sarei stato io, ahahaha) come invece era Tina.

La terza fidanzata Simonetta era una dirimpettaia della quale mi accorsi quando avevo undici anni, che non voleva saperne della mia corte, o almeno così avevo capito io ignorando che il suo era un gioco strategico dove io avrei dovuto insistere per farla cedere.
Ma io sono sempre diretto anche con le ragazze e se ti dico baciamoci e tu mi dici ma che sei matto ?  io non insisto più, perché mai dovrei se mi hai appena rifiutato?

Mi accorsi che avrebbe capitolato se solo avessi insistito un po' un pomeriggio che l'avevo incontrata a casa di Monica, la figlia di un'amica di mamma con la quale poco prima per caso avevo giocato al dottore.

Il sesso nudo e glabro di Monica mi aveva ricordato quello di mia sorella nell'aspetto, cioè di una bambina,  ma l'odore di Monica, quel misto di sapone e altro non era quello dell'infanzia, non era nemmeno il profumo di pulito che emanava il pisello di Paolo, era un afrore di sesso, inconfondibilmente femminile che i sensi acuiti della primissima adolescenza ti fanno percepire colpendoti come sa fare solo un odore, che ti accende come la vista non saprebbe fare mai.
La confidenza che io e Monica avevamo conquistato dopo quel pomeriggio annoiato dal finale imprevisto, ora diventava oggetto del contendere con Simonetta che ci guardava e si sentiva esclusa.
Chissà magari Monica le aveva raccontato qualcosa.
Io dovevo avere poco meno di 12 anni, subito prima di iniziare a masturbarmi e a fare sesso con Graziano e Marco.

Monica aveva il capello lungo, vestiva abiti fino alle caviglie, facili da togliere.

Simonetta portava un paio di occhiali dalla montatura tenue e argentata su un viso bianco pallido pieno di impercettibili efelidi.
Quella montatura di metallo le conferiva una tenerezza particolare che di solito hanno le ragazze, e i ragazzi, miopi.

Ci rimasi male di scoprire in lei una curiosità nei miei confronti che io non avevo colto ma io ero tutto di un pezzo e se non me ne ero accorto prima, se lei non aveva capitolato prima e avevo desistito, ormai era troppo tardi, peggio per me e peggio per lei, mi dissi.

E poi c'è stata Claudia che avevo notato in terza media, quando ero già di banco con Andrea, ma  prima di Ciciliano.

Claudia l'avevamo coinvolta in un club di astrofisica al quale partecipava anche Flavia, una ragazza poco incline alla compostezza imposta al genere femminile e che suscitava in me molta simpatia.

Una sera durante una delle riunioni, mentre Claudia sedeva in punta di sedere e Flavia stava sulla sedia con le gambe aperte come i maschi, io avevo fatto un commento di apprezzamento su una ragazza, non mi ricordo chi, descrivendola come quella tutta curve un'espressione che dovevo aver sentito o letto da qualche parte e con la quale volevo millantare usi e costumi maschili non miei a uso e consumo delle due presenti.
Flavia, che non si lasciava certo intimidire dal mio maschilismo millantato mi aveva giustamente apostrofato chiedendomi se era una ragazza o le montagne russe. Essere criticato nel mio maschilismo imitato mi faceva sentire vicino a lei in un modo che lei ignorava ma io ero troppo rigido per ammettere di avere detto una stronzata.
Comunque avevo amato quella sua battuta.

Io e Andrea ritrovammo Claudia quando eravamo già in coppia da un po', un pomeriggio che ci chiese aiuto, visto che la madre non voleva saperne del suo fidanzato inglese e ventenne e lei stava considerando di scappare di casa.
Quando salì in casa mi trovai dinanzi una donna fatta, col capello lungo e mesciato che le copriva sempre mezzo volto, con indosso una maxi gonna color carta da zucchero mossa da un incedere calmo ed elegante che le dava un portamento invidiabile e amorevole.

Io provai a dissuaderla dall'idea della fuga ma Claudia stava per diventare maggiorenne e dopo non ci sarebbero stati più appigli a trattenerla.
Mi meravigliai che una ragazza con un linguaggio del corpo lento e regale come il suo potesse essere percorsa da una determinazione così definitiva.
La trovai in vera difficoltà e non mi capacitai che sua madre potesse tenerla in uno stato animo così doloroso.
La rivedemmo un anno dopo, poco prima che Andrea mi lasciasse, che, rappacificatasi con la madre, era tornata a Roma per le vacanze di Natale.
Ormai viveva a Londra e lavorava preparandosi all'esame di liceo da privatista.
Stava ancora con quel ragazzo, e io provai un sentimento di invidia per lui che viveva a Londra e aveva Claudia, la ragazza più bella che potessi mai immaginarie di avere accanto.

Poi sarà la volta di Rosa, che sapeva fossi gay, e che avevo avvicinato per solidarizzare contro il comportamento di Roberto, un ragazzo del gruppo di amici di Fabrizio e Lello con il quale aveva avuto una liasons, e che l'aveva usata come fanno molti ragazzi.
Lei aveva frainteso la mia solidarietà femminile per corteggiamento e io, lusingato, glielo avevo lasciato credere.
Tanto sarebbe partita presto per un tour in Europa e poi sarebbe tornata in Australia da dove era venuta l'anno prima.
Rosa è stata la prima persona a dirmi sei bello e la prima persona con cui abbia mai avuto una relazione schietta.
Che dico.
Lei era schietta, io mi vergognavo anche solo di far vedere il mio bluff.
 Le avevo promesso di scrivere delle lettere che non scrissi e lei me lo fece notare senza rimprovero, senza potere, facendomi capire che tra persone si poteva anche parlare senza lottare per l'egemonia.
L'attrazione che provavo mi spingeva verso di lei ma temendo troppo di fallire mi faceva tirare indietro perché non volevo prenderla in giro come Roberto.
Ma anche io la stavo usando.
Più che fallato ero un maschio stronzo come gli altri.
Ne avevo parlato a Fabrizio che si era preoccupato e  si informava se avevo bisogno di aiuto, come un fratello, o un vero amico, quale era veramente.
Quando gli raccontai che mi aveva chiesto di andare da lei e io avevo declinato l'invito temendo di fare cilecca Fabrizio mi aveva risposto che Rosa mi aveva chiesto da andare da lei non di andare da lei col cazzo duro.
Ma come poteva un ragazzo gay che performava poco il sesso anale coi co-genere usare il suo cazzo fallato con una donna?
Fallato perché le mie erezioni sono sempre state poco sostenute dal desiderio che non mi sentivo mai davvero libero di esercitare, di agire, di declinare.
Ma visto che non mi permettevo di dire di no ci pensava lui per me.

Quando Rosa partì per l'Australia il non riuscire a trovare un motivo valido per farla restare mi fece sentire che la mia vita era un disastro totale e irrisolvibile.

E' da allora che navigo a vista aspettando ancora di tirare un respiro di sollievo...




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