Sento di stare nel mio altrove - Le sere del Pantheon 2
Il Pantheon divenne la nostra piazza.
Ci incontriamo lì tutte le sere, ma propio tutte, tranne la vigilia di Natale, e la sera di San Silvestro, che io e Tamara passammo a casa di Emanuela, mentre gli due altri Alessandri erano andati a ballare all'Alibi e io avevo rinunciato senza pentirmene. Non mi piace iniziare l'anno nuovo in mezzo a una pletora di sconosciuti. Figuriamoci in mezzo a una pletora di frocioni sconosciuti.
Emanuela è una ragazzona alta alta, più di Alessandro che me l'aveva presentata, dal viso irregolare, che usava degli ombretti improbabili, che la rendevano quasi la copia di Caterina Boratto ne Giulietta degli spiriti di Fellini però con gli occhiali.
Emanuela si accompagna con Adriano, il suo ragazzo, effemminato e dalla pelle nera. La lascerà ai primi di marzo dell'anno dopo.
Emanuela abitava dietro casa mia, così tornavo in macchina con lei. Anche se era più grande di me Emanuela aveva il coprifuoco a mezzanotte. Io la mattina andavo a scuola quindi tornare a casa presto mi era congeniale.
Nonostante il tempo del tragitto di ritorno io ed Emanuela non siamo mai entrati abbastanza in confidenza per sapere se con Adriano ci faceva sesso o se la loro fosse una relazione platonica; mi parlava invece delle sue difficoltà in famiglia, una coppia anziana che veniva dalla profonda provincia del Lazio e che malvedeva le sue uscite serali perché era una ragazza.
Io le raccontavo principalmente della mia ricerca di un amore, dopo Andrea avevo avuto solamente del sesso, regolarmente solo con Paolo settimo altrimenti erano tutte one night stand...
Una sera conobbi anche il fratello di Emanuela, Armando, un ragazzetto romano, verace come lei, che mi aveva preso in simpatia e ogni volta che ci incontravamo mi abbracciava e mi palpava come si fa con una mascotte.
Mi toccava il culo, davanti a Emanuela e anche ai suoi amici, dicendomi qualcosa come a voi gay piace. Avrei preferito palparlo.
Frances non si imparò mai il nome di Emanuela e ogni volta che ne menzionavo il nome mi chiedeva sempre Who? Per farle capire di chi stessi parlando dovevo usare il nickname che aveva coniato: The Ugly Girl.
A me dispiaceva usare quel soprannome, trovavo davvero meschino e facile chiamare Emanuela brutta, perché non chiamarci anche me brutto, allora, visto che mi ci sentivo?
In fondo al nickname percepivo però una forma di gelosia da parte di Frances e tanto, mi dicevo, Emanuela non lo avrebbe saputo mai.
Infatti fu così.
All'epoca la fontana del Pantheon era contingentata sui diversi versanti. Sulla destra, spalle al Pantheon, c'erano i metallari, che all'epoca avevano fama di essere destrorsi, che io sapevo essere un luogo comune. Un paio di anni prima avevo conosciuto Saverio, un ragazzone coi capelli lunghi fino al sedere, che suonava il basso negli Astaroth, che era un compagno etero, altro che fascio.
Sulla sinistra c'erano i froci, cioè noi.
Il nostro gruppo non era sempre al completo.
Qualche volta mancava Manuela, altre volte Adriano, senza il quale Emanuela si faceva più intraprendente, come se con Adriano mantenesse un profilo basso, spesso mancava Tamara, o uno dei due Alessandri.
Quello più assiduo ero io.
Manuela, che aveva una parola per tutti, a noi tre Alessandri ci aveva trovato dei soprannomi, se no mi confondo.
Alessandro che mi aveva rimorchiato all'Alibi, era quello alto, io ero il cappellaio per via dei cappelli, che cambiavo ogni sera: un paio a falde larghe uno rosso porpora, uno grigio, uno con la visiera lunga e una cupola nera dal frontale alto, uno arzebaigiano, cilindrico e basso, che avevo acquistato a Porta Portese, ce l'ho ancora, appeso al muro, e poi un paio di zuccotti di lana, più pratici che di moda, che usavo quando volevo coprirmi le orecchie per il freddo.
E poi c'era mio fratello, l'Alessandro ritardatario, i cui occhi da pesce fracico (un'espressione di mia madre per indicare gli occhi con gli angoli leggermente girati verso il basso) simili ai miei, ci rendevano davvero somiglianti e in molti ci chiedevano veramente se eravamo fratelli.
Ad Ale la cosa non lo garbava troppo, io ogni volta che ce lo chiedevano mi innamoravo di lui un altro po'.
Sì di Ale mi innamorai piano piano, giorno dopo giorno, senza nemmeno rendermene conto, proprio come non ci rendiamo conto dell'aria che respiriamo fino a quando non ci manca.
In quelle sere passate all'aperto, seduti sui gradini, fumando sigarette, chiacchierando delle vicende casalinghe, delle dinamiche parentali, o delle persone che incontravamo in piazza, ridendo anche molto, con Adriano che faceva da cassa di risonanza con quella sua effeminatezza sovrabbondante ma mai affettata, sempre spontanea, genuina, verace, raramente mangiando qualcosa a un fast food poco distante, verso via del Corso, quando eravamo in soldi, quindi mai, durante quelle sere iniziammo ad avere una percezione diversa della piazza.
Ci sembrava che la piazza fosse casa nostra e che la gente che ci passava accanto ci stesse venendo a far visita. Ci sentivamo obbligate ad accogliere quei visitatori e quelle visitatrici come fanno i padroni e le padrone di casa.
Iniziammo a conoscere tutti i e le regulars che frequentavano la piazza con assiduità ma mai come noi. E' il potere di chi c'è sempre e sa dire degli altri quando ci sono e quando no.
C'era Michele, un gigolò per signore, che arrivava a bordo fontana sulla sua Porche Cabrio gialla, (all'epoca il Pantheon non era chiuso al traffico locale) che mi aveva preso in simpatia e veniva sempre a chiedermi come stavo, se avevo bisogno di soldi, e un paio di volte mi aveva anche dato un paio di banconote, e più di una volta mi aveva detto mi stai simpatico oppure non sei maligno come gli altri froci. Una volta aveva proseguito dicendomi con te ci verrei e mi aveva anche baciato.
Un altro canotto perso dite?
C'era una vecchietta, ottuagenaria, filiforme, un vestito lungo e grigio fino alle caviglie, i capelli lunghi, grigissimi, raccolti dietro la nuca, un viso vissuto, come quello della protagonista del corto di Polansky La caduta degli angeli, che vendeva rose ai passanti, alla quale tutte le sere offrivamo il caffè, era un omaggio a chi abitava la piazza da prima di noi.
Quando eravamo in soldi, quindi raramente, le offrivamo anche qualcosa da mangiare.
C'era questo ragazzo gay affettato, truccassimo, ma non da donna, usava un fondotinta evidentissimo ma color carne per nascondere delle cicatrici che gli erano rimaste dopo l'acne.
I capelli erano di un nero corvino sospetto, Emanuela era sicura se li tingesse, portava sempre un foulard pervinca introno la collo, fasciato in improbabili pantaloni jeans e giubbotti troppo aderenti che tradivano i chili di troppo.
La sua figura non era massiccia ma l'età lo stava già cominciando ad allargare. Doveva essere nel pieno della sua trentina ma aveva il piglio nevrastenico della checchina solitaria, la bocca a culo di gallina, che con noi non aveva mai legato. Al limite veniva a scroccarci qualche sigaretta.
Secondo Adriano batteva, ma non in senso gay. Io con tanta fauna a disposizione trovavo poco credibile che avesse dei clienti, ma never say never.
Il Pantheon era frequentato da visitatori e visitatrici improbabili perché negare dei clienti al nostro conoscente?
Una sera si affaccia dal balcone dell'Hotel Senato un giovane ragazzo. Sono io a notarlo, e quando lo indico, Adriano inizia subito a salutarlo. Ciao Belloooo! Scendiiii.
Quello ci raggiunge pochi minuti dopo.
Ci spiega che ha poco tempo per stare con noi, che deve rientrare prima che il padre si accorga che è sceso.
E' sicuramente minorenne.
Veste dei pantaloni di diverse taglie più grandi, che ha legato alla vita con una cravatta. Indossa una giacca sopra quella che si rivela essere una sottana, e ai piedi ha delle infradito.
Ma sei una doooonnaaa strilla Adriano quando le vede il rigonfio dei seni sotto la sottana e si scandalizza, assordandoci.
Sì mi sono messo il completo di papà. Se mi scopre che sono sceso mi ammazza.
Karim questo il nome, parla di sé al maschile e ci spiega che si sente maschio, un maschio al quale piacciono le donne.
Ci fa capire che il padre è ricco e anche molto autoritario e che per la sua identità maschile vuole costringerlo a vedere uno psichiatra.
Pendiamo tutte dalle sue labbra, potrebbe anche dirci di essere il figlio segreto di Mina, noi gli crederemmo.
Poi risale in albergo.
Scende anche la sera dopo e mi regala un cravattino di quelli a farfalla, che ho portato per anni fino a consumarlo. E' di mio padre - dice - ma a te sta meglio che a lui. Poi mi sorride e mi scompiglia i capelli.
L'ultima volto scende per salutarci. Domani parto. Io gli dò il mio numero di telefono, e lo rassicuro dicendogli che può chiamarmi quando vuole.
Non chiamerà mai.
Intanto io mi immagino la sua vita, una vita che si svolge altrove, e mi immalinconisco. Al cappellaio mi sa che gli piacevaaaa fa Emanuela, canzonatoria.
Ma tanto lui non c'ha mica il cazzo, ribadisce Adriano, contento di guastarmi il sogno.
Ma io non voglio il suo cazzo, io voglio lui, rispondo a denti stretti.
Aaaaahhhh il cappellaio è lesbica, grida Adriano ed Emanuela gli intima di smettere di strillare, se no ti gonfio.
Una sera che era piovuto, e avevo rinunciato ad andare a Pantheon, verso le 21.20 ricevo una telefonata da Tamara. Ti chiamo dalla cabina, qui con me c'è anche tuo fratello mi dice, e quel soprannome detto da lei ha un che di sbagliato e sinistro.
Ciao Ale, sento in lontananza la voce di Alessandro.
Dai perché non vieni? incalza Tamara.
Io mi ero già spogliato e stavo in pigiama davanti la tv. Mi dovrei vestire, non farei mai in tempo provo a dire.
Ma dai, ti aspettiamo mi fa Tamara, allegra, ti aspettiamo, ribadisce Ale in lontananza.
Sentendo di essere desiderato e di avere degli amici che mi aspettano vinco la mia pigrizia, mi vesto, prendo il 26 che passa miracolosamente appena giungo alla fermata e riesco a raggiungere il Pantheon per le 22.15.
Appena arrivo vedo Tamara e Alessandro che sono davvero contenti di vedermi, mi abbracciano e mi fanno le feste.
Hai visto che ce l'hai fatta? dicono.
La piazza è semideserta, la pioggia di qualche ora prima ha scoraggiato l'uscita a un sacco di persone non solamente a me.
Ci sediamo fuori zona, sul lato di fronte al Pantheon, io in mezzo, Tamara alla mia sinistra Alessandro, alla mia destra, mi tiene per mano.
Bello vero? dice Ale e potrebbe riferirsi al Pantheon quanto al fatto che siamo tutti e tre lì, insieme.
Io rispondo sì mentre chiudo gli occhi e stringo la mano di Ale.
Mentre sospiro rumorosamente sento che non vorrei stare da nessun'altra parte.
Per una volta tanto sento di stare nel mio altrove.
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