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Quando mamma andò in ospedale per partorire Silvia



Quando mamma andò in ospedale per partorire Silvia io fui ospitato da Zia Nini, per dare modo a nonna di avere una incombenza in meno, visto che le toccava accudire mamma puerpera e ospedalizzata.

Una sera, al telefono nel corridoio di casa di Zia Nini, espressi a mamma con sincerità disarmante  quanto lei mi mancasse.
Mia madre si presentò in casa di zia, in vestaglia e ciabatte, una ventina di minuti dopo. Era venuta dall'ospedale a casa della sorella, che distava un chilometro.

Ho un ricordo tenero e muliebre di mia madre, il pancione con dentro Silvia, i seni generosi trattenuti a stento dalla sottana, la sua apparizione miracolosa e potente come quella di Atena, mamma in lacrime, che mi abbraccia e cerca di prendermi in braccio,  Zia Nini che grida alla sorella che ci fai quiii, io che mi sento responsabile di quella bravata, eppure al telefono ero solamente stato sincero, non avevo la minima intenzione di provocare quella apparizione inusitata anche se ne ero felice e strafelice.

Ora che mamma era in ospedale temevo che anche lei potesse sparire come era sparito papà, finito in ospedale senza che io lo potessi vedere.
Il tentato suicidio di papà - lanciatosi dalla tromba delle scale di casa di nonna, sì quella dove andremo ad abitare -  mi era ovviamente stato nascosto e mamma mi aveva raccontato che  papà aveva battuto la testa scivolando sui gradini dei giardinetti, quelli di Luca vestito da Robin Hood.

La comparsa improvvisa di mamma da Zia Nini, la sua forza nell'essere venuta a piedi fino a me, per me nonostante il cuore,  mi confermarono che mia madre non era né sarebbe scomparsa, che esisteva veramente, in carne ed ossa, seni, panciona e capelli scarmigliati e tutto il resto e che non ero stato lasciato da zia.

Ricordo benissimo la sera che mamma venne a sapere del tentato suicido di papà. Zia Lilla bussò alla porta di casa a via Revoltella, inaspettata, accompagnata da un signore con la tuta da stagnaro (era il fratello), mamma si meraviglia della loro presenza.
Zia Lilla e l'altro sono serissimi, zia Lilla dice qualcosa a mamma a bassa voce, mamma si piega in due come avesse un dolore lancinante e improvviso al ventre, mentre pronuncia un nooooooo strozzato e soffocato e zia Lilla mi porta in cucina e l'uomo sostiene mamma facendola sedere.

Non ho mai creduto all'incidente ai giardinetti, i gradini dove papà sarebbe dovuto scivolare erano talmente bassi che nemmeno io ne avevo paura.
All'epoca avevo paura di ogni gradino perché a due anni ero scivolato su quelli bagnati dalla pioggia del cinema Induno e, avendo i riflessi di un bradipo, ero rovinato a faccia in giù storcendomi il setto nasale che non ho mai operato e mai lo farò, l'operazione essendo troppo traumatica per me, meglio morto, giammai, no, non parliamone mai più.

Fu suora Edvige, quella del triennio alle elementari, a farmi passare la paura dei gradini prendendomi per mano e scendendo i pochi gradini che conducevano al refettorio di corsa, costringendomi a farli di corsa anche io, dimostrandomi così che sapevo farli.

Fu un liberazione.

Ancora oggi  quando scendo le scale il mio primo istinto è di bloccarmi ma poi penso a suor Edvige e ancora sento la sua mano calda che mi strattona, sì, ma anche che mi sostiene.

Dopo il parto, quando mamma sta per tornare a casa nostra con Silvia io sono in cucina con nonna ad aspettare che arrivino, un'attesa senza fine.

Quando finalmente suona il campanello di casa io mi alzo di corsa per andare all'ingresso e mi faccio male alle gambe; portavo i pantaloni corti anche se era inverno, e le cosce si erano appiccicate al bordo duro della sedia di formica verde nella quale ero rimasto seduto nella stessa posizione per troppo tempo.

Quando vidi la cesta con dentro mia sorella, una cesta di vimini come quella per i gatti e le gatte,  dal bordo spuntano fuori due piedi secchi e lunghi, che appartengono a una neonata bruttina, di colore giallognolo, tutt'altro che vitale,  che se ne rimaneva inerte e smorta dentro la cesta.

Una delusione terribile.

Già poche settimane dopo Silvia si era trasformata in una bambina bellissima e vitalissima e quando iniziò a gattonare, precoce, nessuno la teneva più.

In quei giorni di soggiorno da Zia Nini, per i motivi di cui sopra, ero molto provato e pur non essendo uno che faceva i capricci, avevo la lacrima facile.
Mia zia mi apostrofò dicendomi  Dai Ale non piangere per un nonnulla. 
Io che non avevo mai sentito quella parola che mi sembrava foriera di giudizi sprezzanti, smisi di piangere e mi rivolsi, durissimo, a Zia dicendole a me nonnulla non mi si dice.

Zia scoppiò a ridere e quando mi spiegò il significato di quella parola strana scoppiai a ridere con lei.






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