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Nonna



Mi piaceva molto quella giacca, grigia con strisce rosse e nere.
Forse mi imbolsiva un po', perché era spessa e un po' rigida ma l'avevo comprata coi soldi miei e l'avevo usata anche come cappotto.
Mi stavo preparando ad uscire sulle note di Cablo di Mina Mittente io conosci stile qui tutto bene sbollita bile ero allegro, nonostante nonna stesse morendo di un cancro ai polmoni che le era stato diagnosticato a Natale.
Eravamo ad Aprile.
La giacca era traversata dalla tracolla della mia tolfa, la borsa che nei settanta era stata delle zecche ma che negli ottanta si era imborghesita, tanto da piacere a Elisa, la mia compagna di classe pariolina. 
Ero diretto ai concerti di via Giulia.
Da qualche anno i negozi d'antiquariato e le gallerie che avevano sempre animato la via avevano fondato un consorzio che, per portare lustro alla strada, organizzava una serie di concerti, nelle chiese e nei palazzi della via, chiamando musicisti e musiciste da tutta italia.
Si andava dalla musica sacra del cinquecento, Marenzio e Palestrina,   alla musica da camera, da Brahms a Beethoven, da Hydn a Gerhswin.
I concerti prendevano luogo nei cortili dei palazzi e dentro le chiese, anche quelle normalmente chiuse  al pubblico, così il concerto diventava anche occasione per vedere una chiesa altrimenti persa.

Una sera avevo assistito con Fabrizio a un concerto dove alcune canzoni di Gershwin erano state interpretate da cantanti liriche.
Me ne ero andato scandalizzato dicendo ad alta voce ma cos'è questo schifo!?
Sentire cantare Summertime da un soprano fu per me quasi una violenza, sicuramente uno stupro simbolico a tutta la musica jazz, che veniva cancellata a favore di un ordine altro, spurio ed estraneo.
Anche se quella lettura rientra nella tradizione che assimila il musical all'Opera si tratta comunque di un errore filologico, un po' come ridurre i brani vocalese del trio Hendrics, Lambert & Ross alla monodia dei canti gregoriani...
Non c'è niente di meglio della calda voce di Sarah Vaughan che dice Summertime and the living is easy invece della voce piatta e cristallina di un soprano. Porgy and Bess va interpretato da cantanti da musical non liriche.

Quelle serate erano per me un'occasione per conoscere autori nuovi, più raramente autrici,  e nuovi repertori anche perché spesso i concerti erano incentrati su di un singolo strumento, arpa, clavicembalo, violino, viola, sassofono, con un repertorio che partiva dal periodo d'oro dello strumento arrivando fino alla contemporaneità.

Fu un'emozione sentire Maple Leaf Rag di Scott Joplin suonato sul clavicembalo da una giovane clavicembalista che lo esegue quasi di nascosto, sia per la chiesa polverosa nella quale ci troviamo, sia perché il suo insegnante, ci spiega,  non approva questo impiego profano dello strumento. Invece ne esce una versione intelligente, come la sua esecutrice.
Quando ascoltai alcune composizioni contemporanee per arpa nelle quali la partitura prevedeva che l'arpista battesse con le mani sulla cassa di risonanza ritornai bambino e provai le stesse emozioni che avevo provato in prima media col prof. morto nell'incidente stradale.
Erano serate magiche, per me in qualche modo la continuazione della mia formazione musicale cui ero stato avviato alla scuola media e che al liceo avevo trascurato per quella teatrale, e che così proseguivo da solo.
I concerti erano gratuiti e cominciavano tutti presto, dalle 19.00 alle 20.30. Se facevo in tempo riuscivo a vederne anche due. Tutti erano replicati almeno una volta con punte di tre, a distanza di giorni, nell'arco delle tre settimane di durata della manifestazione,  ed erano sempre frequentatissimi anche da gente che di musica classica non ne mastica troppo, quella che magari ti applaude tra i movimenti di una sinfonia...
Così ero quasi tutte le sere lì, a volte accompagnato da Fabrizio, più spesso da solo, mai con mamma...
C'era anche la musica jazz visto che al consorzio partecipava anche il Music Inn lo storico locale jazz di Roma. Al Music Inn i concerti però iniziavano alle 22.30 e io non ci ero mai andato non sapendo come tornare a casa.
Gli autobus finivano a mezzanotte e all'epoca ignoravo ci fossero gli autobus notturni...

Ingenuo ve'?

Quando scoprii che esistevano i notturni, l'ultimo anno che organizzarono i concerti di Via Giulia, tutte le cose belle finiscono, mi vidi qualche concerto Jazz fra cui uno di John Hendrick, con la moglie, che non aveva nulla da invidiare a Cheryl Bentyne dei Man-Tran.
Conservavo gelosamente i programmi di ogni edizione, alcuni arricchiti dagli autografi che chiedevo ai personaggi che incontravo, da Paolo Panelli a Nicoletta Orsomando, la quale dopo avere concesso l'autografo a me disse, non è che ora che me lo chiedono tutti e io giù scappavo mentre dietro di me si stava formando la fila...
Quei programmi non li conservo più perché quella gran buttona di mia notta me li fece sparire da un giorno all'altro.

Sono in camera mia, con la giacca e la tolfa indosso, nonna mi guarda con due occhietti che si fanno più piccoli di giorno in giorno,  mentre mi sto spruzzando quantità industriali di un profumaccio da due soldi che compravo da Standa che mi piaceva molto, il Denim, quello dell'uomo che non deve chiedere e infatti io non chiedevo, mai, nato come dopobarba ma la cui fragranza era uscita anche come eau de parfum.

Sono lì che agito il culo sulle note di Cablo, contento di andare a sentire i concerti, sempre molto in anticipo rispetto l'orario di inizio perché con gli autobus a Roma non si sa mai,  tanto ho sempre almeno un libro con me. Spengo il giradischi,  saluto nonna e zia Zizzi che è venuta a farle compagnia, altrimenti non me ne sarei mai andato.
Mamma era come al solito a fare gli straordinari per arrotondare lo stipendio (ora che nonna era morente presto avremmo perso la sua pensione e mamma ne era molto preoccupata)  Silvia non era in casa, mai, come l'uomo della Denim.

Sono giù alla porta di ingresso, sbirciando nello pecchio per vedere se avevo qualcosa fuori posto, quando sento zia Zizzi che mi chiama con tutto il fiato che ha in gola.
Corro così veloce che raggiungo camera di nonna mentre voi eravate ancora a metà di questa frase, e trovo nonna ai piedi del letto,  bocconi, gli avambracci sulla sedia che per fortuna era accanto al letto. Zia non ce l'aveva fatta a sostenerla mentre la tirava su e le era scivolata in quella posizione . Io prendo nonna, la alzo delicatamente, la accompagno al bagno e la rimetto a letto.

Vorrei rimanere ma mi sembrerebbe di umiliare zia Zizzi quindi faccio finta che mi vada ancora di uscire, anche se non ne sono più così sicuro.
Mentre ho tirato su nonna da quella posizione intelligente in cui era caduta e che le aveva impedito di rovinare con la faccia a terra, ricevo uno sguardo da quegli occhi piccoli e attoniti che dice così sono ridotta?
Morirà 10 giorni dopo, in piena notte, mentre il dottore, venuto a visitarla, all'epoca lo si faceva ancora, ci spiegava che il cuore che spesso ci aveva fatto preoccupare (soffriva di una forma leggera di anginopatia) la stava tenendo in vita con un accanimento imbarazzante e che, anche se avrebbe dovuto darle un medicinale per aiutare quel cuore sfacciato, ci informava che non gliela avrebbe dato aspettando che il cuore cedesse e la lasciasse finalmente andare.

Nonna era sempre stata iperenergica, riusciva a prendere in braccio me e Silvia contemporaneamente, anche da bambini, non proprio Cammela, ma quasi.
Quella debilitazione fisica per lei doveva essere una restrizione insopportabile. Quando preconizzava la sua morte, temendo la debilitazione fisica, pregava suo marito di venirla a prendere (Turi vienimi a prendere) prima di diventare un peso per chi le stava intorno.
Così aveva fatto. L'ultimo atto della ginecrazia era una morte dignitosa, nessuna sopravvivenza a se stesse. Mi chiedo se io non reagirei come Susan Sontang che diceva piangendo alle infermiere dell'ospedale che stava morendo di cancro...
Nonna decise di andarsene, il prima possibile, abbandonandosi a un male che aveva deciso di non combattere più. Come Frances che si era lasciata andare e attendeva la mort, petit.  

Morta nonna prendemmo il nostro primo gatto cosa che nonna ci aveva sempre impedito di fare dicendo che i gatti sporcano.
Buio, il cui nome fu una geniale invenzione di mamma perché era tutto nero, aveva un carattere nobile, mai una pipì fuori posto, mai un graffio, mai una prepotenza.
Bellissimo, anche se non come Gas, innamorato di me e di mamma tanto da stare spesso con lei, anche se le notti le passava con me, tanto che più di una volta mamma aveva scherzato presentandoci Buio  come il figlio della colpa o il suo amante nero quando quel felino lì, in cerca di coccole e calduccio, si nascondeva sotto le coperte nel suo letto, e lei per mostrarcelo, si scopriva tutta e Buio ci guardava con gli occhi di sonno infastiditi dalla luce improvvisa.

In quella notte quando nonna morì in cui tutti rimanemmo sveglie, allestimmo la camera ardente nella sua camera da letto, il letto spostato in mezzo alla stanza, un velo di organza bianco che la copriva totalmente toccando il pavimento per diverse decine di centimetri, e tutto il quartiere venne a visitarla per tutta la notte e il giorno successivo finché non la vennero a prendere.

Era l'Aprile del 1982.

Andrea mi aveva appena lasciato.

La morte di nonna mi toglieva ogni speranza di prossima felicità.

Anche mamma risentì molto della morte di nonna, le mancò un aiuto in tutti i sensi, economico, logistico, di supporto e di consiglio.

Morta nonna mamma era on her own e anche lei, come me, doveva detestare to bear her life in pain.


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