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Non sono un frocio di merda


Ho iniziato a fare psicoterapia con Francesca, pochi mesi dopo averla conosciuta  al corso di canto Jazz al quale mi ero iscritto perché ci insegnava Frances. Poi era passata l'estate, Fernando era andato a curarsi a Parigi e poi era tornato a Roma a morire. Il locale dove studiavamo jazz aveva cambiato gestione e non era più né scuola né locale jazz. Il ragazzo che l'aveva rilevato morirà di ictus pochi mesi dopo. Lo scoprirà la mattina la sua compagna, che era già in coma e morirà prima dell'arrivo dell'ambulanza.

Dopo un anno di terapia Francesca mi invitò a fare anche terapia di gruppo.
Non potendomi permettere entrambe, desistei, ma dopo un anno e mezzo di individuale concordammo che potevo fare anche solo quella di gruppo.

Il gruppo era formato da alcuni e alcune pazienti sue e da altri e altre di un suo terapeuta amico. Erano tutti sulla trentina, con lavori frustranti, amori che avevano sconvolto i loro equilibri.
Io ero il più giovane.

Ho imparato molto da quel gruppo.
Intanto che potevo piacere anche ai ragazzi di lì.
In un gioco nel quale si ricevono bigliettini anonimi avevo ricevuto due commenti molto intimi, nel primo mi si diceva che ero un rospetto molto sexy.
Il secondo mi invitava a spogliarmi con le parole della famosa canzone di Baglioni.

Francesca, e anche il terapeuta suo amico, mi dicevano che non ero gay.

Quando chiedevo spiegazioni mi rispondevano con un E' una sensazione. La sensazione era condivisa anche da alcuni membri del gruppo.

Un pomeriggio, Flavia, una delle ragazze più belle che abbia mai conosciuto, dalla pelle bianchissima, il capello biondo miele lungo che lei portava sempre raccolto,  portamento flemmatico e naturalmente elegante, confessa di essere andata a letto con un ragazzo che frequentava da poco e di averci fatto sesso non protetto.
Cioè lei prende la pillola quindi non c'erano rischi di gravidanze indesiderate, ma la preoccupava l'Hiv.

Quando lei condivide questa sua paura nel gruppo monta quest'onda forte di rifiuto. Nessuno, nessuna vuole relazionarsi col problema di Flavia come se solamente il nome Hiv potesse in qualche modo contagiarci tutti e tutte.
Era il 1986 di Hiv ci capivamo ancora poco.
I pregiudizi contro l'hiv erano alimentati dalla peggiore omofobia. Ma nel caso di Flavia il ludibrio si collegava alla considerazione molto patriarcale, sessista e borghese che ...ecco cosa succede quando una donna la dà. 

Eravamo tutti e tutte lì, loro con gli arti rientrati nel corpo come le corna di una lumaca cercando di non prendersi l'Hiv e lasciandoci morire Flavia in santa pace.
Dinamiche di gruppo.
Una pura possibilità diventava certezza di malattia che isolava (vero Susan Sontag?).

Flavia scoppia a piangere.
Singhiozzi che ancora oggi mi fanno male al cuore.

Nessuno, nessuna cerca di consolarla, nemmeno le persone più vicine a lei. Francesca e lpaltro terapeuta non intervengono no so proprio perché.

Io, che sono esattamente dall'altro lato della grande stanza, mi alzo, e invece di schiaffeggiare tutti e tutte come vorrei fare, Francesca e l'altro terapeuta per primi, che secondo sarebbero dovuti intervenire, mi dirigo da Flavia. Mi siedo accanto a lei, la abbraccio, le carezzo la testa, le dico parole di conforto. Le parlo sottovoce, la cullo, cerco di farla calmare. Le dico di non preoccuparsi. Che non si è presa niente. Che se vuole a fare le analisi ce l'accompagno io.
Flavia si abbandona, il peso del suo corpo contro il mio,  si prende le mie coccole, piange liberamente.
Poi, come ricordandosi chi sono, si stacca, smette di piangere, mi guarda meravigliata e mentre si asciuga gli occhi con la mano mi dice, come fosse un rimprovero, Tu non sei gay!

Eureka!

Finalmente ho capito cosa intendevano tutti e tutte quando mi davano quel feedback.

Io non sono misogino. Delle donne non ho né paura né ribrezzo.
Anzi le sento molto, più degli uomini.
Ergo, non posso essere gay.

All'epoca quel commento mi infastidì. Lo consideravo un pregiudizio da combattere e da smontare da un punto di vista logico-formale.

Adesso che ne scrivo mi rendo conto che quel commento legittimava, la mia omosessualità, togliendola dall'ipoteca nella quale io ancora la tenevo.

Mi sono sempre fatto uno scrupolo politico sulla mia omosessualità.
Mi sono sempre detto che, da maschio omosessuale, discriminavo le donne due volte, primo perché ero uomo e secondo perché le escludevo dal mio desiderio erotico e sentimentale.

Ma non era così. Non per me.
Ho sempre amato le donne più degli uomini.
Non ho mai sopportato gli uomini calcio e figa.
Un disprezzo basilare, atavico quasi.
Disprezzavo anche quel certo modo di fare tra maschi froci che, per ammiccare al proprio orientamento sessuale, fanno professione di misoginia. Stesso disprezzo che per gli altri.

Una volta a casa di Patrick, durante una delle tante feste alla quale c'era anche Frances, e io ero semicollassato per le troppe canne, Ettore, un amico di Lucia, l'allora ragazza di Patrick, stava dicendo  che a lui, in quanto omosessuale, gli piaceva il cazzo, che le donne avevano la fica per cui a lui le donne non interessavano. Lo riempii di parolacce.
Non lo picchiai perché non ne ero capace.

Un anno dopo incontro Ettore in un locale in drag...

E' vero Francesca. E' vero Flavia. Avevate ragione.

Io non sono quel tipo di frocio.

Però vi sbagliavate a dire che non ero gay.

Io sono gay, molto molto gay.

Quel che in realtà stavate cercando di dirmi è che non sono un frocio di merda.

Grazie.


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