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Monaco


Non mi ricordo da dove tornavo. Forse da Frances.
Vicino casa, dall'altra parte del marciapiede, un po' dopo il mio portone, su di un isolato che costeggia un giardino interno, che sulla strada dà solo un muro, noto, da lontano, un assembramento di persone.
Poi vedo anche una ambulanza, ferma e aperta.
C'è un barbone per terra. Esanime. Uno dei due operatori dell'ambulanza cerca di parlarci, con scarso successo.
Chiedo a questo uomo sulla quarantina alto e straniero cosa è successo. Mi spiega che ha trovato lui il barbone per terra, svenuto, mentre tornava a casa.
Ha chiamato l'ambulanza, ma il barbone non vuole andare in ospedale e gli operatori dell'ambulanza non possono prendere qualcuno conto la sua volontà.
Iniziamo a parlare d'altro.
Di dove sei? 
Monaco. 
Mai stato. Sono stato a Colonia. 
Abito qua dietro.
Che fai domani? Vogliamo vederci? 
Ti do il numero chiamami domattina.
Mentre parlo con Mark lui continua a guardarmi fisso negli occhi con una intensità e una intenzionalità  che un po' mi toglie il respiro. Mark ha il capello corto nero corvino con qualche impercettibile capello bianco. Non è particolarmente bello ma è diverso da ogni uomo di quell'età che abbia mai visto. Unico, autonomo, dal fisico prestante e asciutto. Un uomo che sembra interessato a me. E, soprattutto, lui interessa a me. Il mio primo uomo io che sono sempre e dico sempre stato interessato da giovani coetanei o più piccoli.
Quando ci salutiamo mi viene spontaneo baciarlo sulle guance. Lui non si sottrae.

Come un dilettante che ha ottenuto la possibilità di cantare a un concerto davanti a un pubblico vero, mentre mi compiaccio di come ho gestito il rimorchio ,già me ne pento.
Non mi va di chiamarlo al telefono domani.
Perché non mi chiama lui?
Ansia da performance, timidezza. Velleità da rimorchio che non deve per forza essere consumato.
Lo chiamo alle 10.00 e mezzora dopo sono da lui.
Appena entro in casa noto sulle pareti del corridoio una decina di foto dalle cornici tutte uguali di una ragazza dai capelli neri e lunghi, occhi marroni, carnagione bianca.
Di chi sono? 
Le ho fatte io. Lei è la mia ragazza.
Mi dico che devo avere frainteso.

Chiacchieriamo allora, di Monaco, delle abitudini nudiste del parco cittadino, lui mi parla del suo lavoro come osteopata a Roma, io non penso più al sesso, parlo dei problemi che ho con Mariù, che mi accusa  di essere poco spontaneo.
All'epoca le credevo, ancora non so che è una sua fissa, la spontaneità, della quale constata la mancanza a priori, non importa se la persona di fronte lo sia o no.
Poi, quando sta iniziando a farsi tardi, Mark, all'improvviso, mi mette una mano sulla coscia,  e mi dice ti dispiace se ti accarezzo un po'?

Ecco da dove ho preso quell'approccio!!! Ma allora è vero che i froci ci provano tutti allo stesso modo!!!

E' il 1987. La bella pompa ad Ernesto non accadrà che fra cinque anni.

Mark mi carezza la coscia, le cosce, mi sfila i pantaloni, mi prende per mano e mi porta sul suo letto matrimoniale.
Io gli spiego che le foto sul muro mi avevano fatto desistere.
Mi dice che si sono lasciati da poco.
Non gli credo.
Penso che le stia mettendo le corna. Mi lascio comunque fare.

Il sesso con Mark è completamente diverso da qualunque sesso che abbia fatto.

Mark è tranquillo, calmo, non c'è fretta in nessuno dei suoi gesti d'amore, il piacere lo dà e se lo prende dilatando i tempi, non ha nessuna fretta di concludere.

Io non prendo l'iniziativa, mi lascio guidare, Mark è sempre molto attento al mio piacere ma anche al mio benessere, mi chiede spesso come sto, se quello che facciamo mi piace.

Quando sta per venire mi chiede posso venire? 

E io che sono abituato ai ragazzini che ti vengono in bocca senza nemmeno avvertirti.

Con Mark ci siamo esplorati tutto il tempo, abbiamo mantenuto sempre un contatto visivo, anche quando mi succhia continua a guardarmi, quando mi tocca non mi tocca per farmi fare qualcosa o per smettere di farlo, mi tocca per il piacere del contatto, quando viene mi prende la mano e me la stringe e mi guarda fisso negli occhi per tutta la durata del suo orgasmo.

Non lo so perché continuo ad ostinarmi a cercare partner sessuali giovani.

Il sesso con gli uomini è un altro ball game. 

La differenza che c'è tra un pianeta e una luna. Per  qualità,  spessore delle emozioni, delle sensazioni tattili, perché il sesso non lo si fa solamente col cazzo o con l'orgasmo, ma con tutto il resto del corpo e della persona.

Me ne torno a casa talmente illanguidito che non mi sembra di avere più le ossa. Mia madre quando mi vede rientrare mi chiede Che hai? 
Le rispondo, sto bene. 

Alla seduta con Francesca, quando le racconto del mio incontro con Mark, lei si infastidisce, non so perché, e mi dice Ti ha usato. 

Le chiedo cosa intende dire. Mi risponde Mark non ti vuole bene, ti ha solo usato per il suo piacere.
Io la guardo, capisco il pregiudizio che la muove (il sesso tra sconosciuti) e la rettifico, beh, se la metti così, ci siamo usati.  Nemmeno io voglio bene a Mark.

Ne ho dovuti ricevere diversi di segnali da Francesca, prima di decidermi a interrompere le sedute con lei. Succederà l'anno successivo, durante uno degli incontri di gruppo.

Io quella mattina avevo seguito una stupenda lezione di Ida Magli sul concetto di culture primitive che non ha senso nella nostra contemporaneità e che è comunque è indice di razzismo.

Lei e l'altro terapeuta (non ricordo il nome, tanto di lui non ne sentirete mai più parlare) mi dicono che non sono gay.
Ancora.
Stavolta non mi accontento delle solite spiegazioni evasive. Pretendo una motivazione seria.
Francesca si spazientisce e mi rimprovera di non voler vedere la realtà.
Lei è già riuscita a farmi ammettere che mi piacciono le donne.
Quando le faccio notare che l'una cosa non smentisce l'altra lei mi dice che l'omosessualità è una deviazione minoritaria, parole sue, che si trova diffusa ed accettata solamente nelle culture primitive.
That's it.
Capisco che Francesca non mi può più essere d'aiuto. Che io so più cose di lei e che devo cercare altrove. Che devo difendermi dai suoi pregiudizi sottraendomene.
Sento di avere smesso di andarci prima ancora di decidere che non tornerò.

La settimana successiva, un'ora prima della seduta collettiva, lascio un messaggio alla sua segreteria telefonica  avvertendola che non sarei andato più.
Lei mi chiama furiosa il giorno dopo dicendomi di aver sentito il mio messaggio solo dopo la seduta. Che mi hanno aspettato tutti, che sarei potuto andare in seduta e dire a tutti che me ne andavo.

Non ho paura di questa donna arrabbiata. Mi sento immensamente libero.

Le rispondo Francesca non trovi contraddittorio venire in seduta per dire che non verrò? Se ho deciso di non venire smetto di venire e basta.
La saluto. Fine della storia.

Non statemi lì a spiegare il rapporto di fiducia con gli altri e le altre del gruppo, che non li ho salutati e salutate. Lo so perfettamente.
Il mio era un coup de théâtre proporzionale alla idiozia di Francesca e del suo compare.

Non c'era nessuno da salutare in quel gruppo di vigliacchi. Flavia ci aveva già abbandonati.

Meno male, visto il trattamento che terapeuti e gruppo le avevano riservato.

Era una manica di imbecilli. Dovevo pensare alla mia salute mentale.
Si meritavano la mia scomparsa repentina.
Tanto per avere il tempo di capire che avevano perso me.
Un po' di sano narcisismo.

D'altronde dopo Mark potevo permettermi di fare la diva, no?

Con Mark ci siamo visti un altro paio di volte.
Abbiamo continuato ad usarci con grande gioia e rispetto reciproci.

Qualche mese dopo tornava a Monaco, dalla sua ex.
Mi sa che avevo proprio ragione...

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