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Mariella



Nell'estate del 1973 eravamo andati in vacanza a Cervia, all'Hotel Tabor.
Ricordo ancora il nome dell'hotel perché è simile al nome di un robot dell'omonimo film Tobor il re dei robot, che avevo visto in quegli stessi anni.
La cameriera che ci era stata affidata per il servizio pasti completo, pranzo e cena, era una giovane ragazza dal nome verace, Mariella, con la quale avevo subito legato perché lei, nel pieno della retorica patriarcale, mi considerava un giovane ometto, ammiccando al potenziale corteggiamento.
Mamma e nonna erano molto soddisfatte dei suoi servigi.
Mamma all'epoca aveva una storia  con un contadino della Romagna che ci forniva di vino che mamma dava direttamente alla cucina dell'albergo e Mariella ci serviva, cioè a mamma e nonna che io a 8 anni di vino ne bevevo mica...
Di quella vacanza ricordo tantissimi particolari, quasi tutti belli.

Intanto il grande numero di persone giovani che si divertivano lì insieme a bambine e bambini come me.
I locali, i bar e le discoteche all'aperto che si coloravano la sera riempendosi di gente.
E poi le attrazioni per noi bambini e bambine.
A me piacevano molto le automobili a scontro, sulle quali andavo appena potevo anche se un giro costava caro, 100 lire, il doppio del prezzo di un quotidiano o di una corsa in autobus.

C'erano poi i cigni che era una novità della zona.
Erano delle piccole imbarcazioni a due posti, a forma di cigno che navigavano in una enorme piscina. Non avevano la forma della barca, niente prua appuntita. Sulla prora uno schienale alto diventava una coda mentre sulla prua spuntava il collo del cigno.
Sopra lo schienale oltre la coda un palo lunghissimo che all'occasione diventava  punto d'aggancio se il motore del cigno si spegneva mentre ti trovavi al centro della piscina (la corsa era a tempo come quella delle macchine a scontro) e allora venivi agganciato con un lungo rostro manovrato dagli assistenti che ti riportavano a bordo piscina.

Di giorno, in spiaggia, oltre al mare, c'erano mille attrazioni.
La nave che veniva a prenderti per fare un giro della costa; il tizio che vendeva frutta caramellata e ciambelle col quale mamma e nonna avevano fatto amicizia e che ci facevano lo sconto.
Nonna prendeva sempre l'uva caramellata, mamma un caffè freddo, io la ciambella anche se mamma preferiva comprassi della frutta.

E poi c'erano i venditori ambulanti, coi quali nonna contrattava sul prezzo mentre si faceva mostrare  qualche telo da mare, un pareo, un copriletto, o, più raramente, qualche vestito.
Nonna che dal soggiorno in Libia aveva imparato qualche parola, sciorinava il suo arabo con loro e quelli come orsi davanti al miele a sentire la lingua della loro terra impazzivano e volevano per forza regalare qualcosa a nonna che, rispettosa del loro lavoro, non ha mai voluto accettare niente.

Ogni tanto veniva a trovarci qualche collega di mamma che era in villeggiatura là.
L'hotel Tabor aveva infatti una convenzione con il dopolavoro delle ferrovie dello Stato.

Veniva a trovare mamma anche questa donna energica e decisa che cercava di scuotere mamma dal suo ruolo di matrona abbandonata. A me stava molto simpatica, rappresentando un modello femminile più emancipato di quello incarnato da mia madre.
Ne conservo qualche foto e fugaci ricordi di una determinazione che sapevo non appartenere a mamma.

C'era il ragazzo che veniva a prendermi per fare lunghe passeggiate col quale chiacchieravamo di dio e di scienza.

Io non facevo ma amicizia con gli altri bambini, le bambine mai c'era la segregazione di genere, troppo timido, troppo pedante, troppo poco fisicamente attivo per poter legare con qualche coetaneo che correva, si arrampicava, mangiava, si sporcava e piangeva. Io ero più sobrio, con velleità più da adulto che bambino giocherellone. E già leggevo.

Una sera che con nonna avevamo abbandonato le strade più affollate incappammo in un circuito di auto a scontro apparentemente chiuso.
In realtà era aperto ma non era frequentato visto che da lontano sembrava chiuso visto che tutte le luci erano spente.
Avvicinandomi, lasciata nonna un po' addietro con la carrozzina con dentro Silvia, mi presento al proprietario della giostra che discorreva con un suo amico. Questi inizia a foraggiarmi di monete da 100 lire dicendomi all'orecchio di fare finta di avere trovato un modo per usare le macchine senza mettere soldi per fare uno scherzo al proprietario.
Così mentre io facevo un giro in solitaria dopo l'altro sulla pista vuota e semibuia, il foraggiatore rideva mentre il proprietario si chiedeva come facevo a manovrare le macchine senza soldi.
Una situazione bizzarra, ma nonna era nelle vicinanze e i due adulti  sembravano dei bambinoni, un po' loschi, ma innocui.

Me ne andai al terzo giro perché sospettavo che quel signore che mi foraggiava, per quelle cento lire volesse qualcosa in cambio.
Non avevo la più pallida idea di cosa, ma qualcosa.

Se non andavamo per giostre restavamo nel giardino interno dell'albergo che poteva riempirsi di bambini e bambine.
Una sera che stavo giocando con dei ragazzini ai quali mi ero presentato loro come il comandante Striker, quello che mamma chiamava denigratoriamente la biondina. 
Stavamo giocando, potevo essere chi mi pareva, no?
Quando uno dei mocciosetti riporta a sua madre la mia qualifica di comandante quella venne a chiedermi chi fossi e a cosa stessi giocando.
Quei ragazzini erano più piccoli di me di almeno un paio di anni e io mi vergognavo di stare giocando con loro temendo di sembrare anche io infantile o più piccolo.
Agrapparmi all'identità adulta e da comandante di Ed Striker era il mio modo per scappare dall'infantilismo che quella sera temevo di lasciar trapelare oltre ogni misura.

Quando la signora sentì parlare di Ufo, di Shado e di guerra contro gli alieni mi disse che ero un esaltato.

Forse fraintendendo un po' il termine (pensavo fosse un sinonimo di mezzo matto) me ne andai da mamma in lacrime dicendo che la signora mi aveva preso in giro.

Quando mamma aveva mostrato intenzione di andarle a parlare mi ero vergognato ancora di più e le avevo chiesto di lasciar perdere.

Ho sempre ricordato con molto imbarazzo questo incidente.

Mi ha sempre imbarazzato l'ingenuità di avere riposto fiducia in una donna pensando anche lei fosse una ginecratica, mentre si era dimostrata giudicante come gli uomini.

Sentivo però di essere responsabile di quel suo giudizio.
Se fossi riuscito ad ammettere che stavo giocando invece di pretendere di essere davvero il comandante Striker non ci sarebbe stato alcun incidente ma evidentemente per me era un peso ammettere che per solitudine e noia mi ero abbassato a  giocare con dei bambini più piccoli.

La verità era che con loro non mi sentivo giudicato mentre coi ragazzini più grandi sentivo messa in questione la mia autorevolezza maschile in una competizione tra maschi cui bisognava rispondere sì con l'arguzia delle parole ma anche con una fisicità che io non avevo mai esplorato e per questo credevo di non avere proprio.

In più c'era il mio desiderio omoerotico a complicare le cose: appena vedevo un pomo d'Adamo, qualche pelo sul petto, qualche incavo tra le natiche, quando quelli si chinavano, o un bozzo in mezzo alle gambe che alludeva a un'adultità fatta di desiderio inappagabile, perché io ero ancora bambino, io mi smarrivo sempre come mi ero smarrito quando mio cugino Paolo, dopo avermi messo in mano il suo cazzo da sedicenne, voleva paragonarlo col mio...

Meglio i bambini più piccoli di me che non mi suscitavano alcun desiderio.
Era stato sicuramente meglio aver detto a quella signora che ero Ed Striker piuttosto della verità che  avrei volentieri spogliato qualche ragazzo di 16 anni per vedergli il cazzo...

Chissà quel bambino biondo carino e pestifero che non stava ad ascoltarmi per niente quando giocavamo come se l'è cavata con una mamma così poco ludica. Secondo se n'è fregato e ha continuato a giocare urlando come un forsennato.

Quando tornammo l'estate successiva io confessai a Mariella che a Roma l'avevo tradita con una fidanzatina vicina di casa (ne avevo avute quattro dai sette agli undici anni: Tina di Terracina, Mariagrazia,  Simonetta e Claudia) Mariella aveva battuto la punta del piede in terra in segno di disappunto.
Felice che stesse al mio gioco le chiesi se voleva diventare la mia fidanzata ufficiale e lei accettò con gioia.
Scherzavamo su questa cosa e che un'adulta potesse assecondare un mio scherzo mi dava una forza che era pari a quella che mia madre mi toglieva ogni volta che mi tarpava le ali sfottendomi di ogni mia fantasia.

Una sera espressi a mia madre il desiderio di voler conoscere Mariella e di parlarle mentre non era in servizio quando non poteva che dedicarmi che scampoli del suo tempo di lavoro.

Chiesi aiuto a mia madre perché mi padre non c'era.

Quella faccenda di pseudofiga era un argomento da affrontare tra maschi.

Anche se non c'era nessun desiderio sessuale nei confronti di Mariella c'era tutta la sperimentazione dell'aura maschile del patriarcato che io non avevo mai sperimentato e della quale a mia madre non le poteva fregare di meno.

Infatti alla mia richiesta di aiuto, mentre io avrei voluto che mi avesse accompagnato davanti la porta della stanza di Mariella come aveva fatto con la bambina dei glutei, mia madre mi portò non troppo distante dall'edificio dove dormivano le dipendenti, mi indicò che la porta di Mariella era la seconda da sinistra - evidentemente aveva avuto modo di andarla a trovare, forse per darle i boccioni di vino di Mario, chissà - mi disse che se volevo potevo andare a parlarle da solo e se ne andò senza nemmeno dirmi ciao.

Eccomi qua, davanti quella serie di abitazioni basse a un solo piano, che ricordano i motel dei film statunitensi.
Non c'è nessuno nei dintorni, mi sento tanto uno stalker che spia le donnine nude.
Vorrei davvero avere il coraggio di andare alla porta di Mariella, bussare e chiederle se le va di fare due chiacchiere con me, ma non ce la faccio nemmeno ad avvicinarmi all'edificio.

Rimango lì dove mi ha lasciato mamma, incapace di muovermi.

Cerco di razionalizzare, mi dico che non voglio davvero conoscere Mariella altrimenti lo starei facendo.

Invece il desiderio è genuino mi sarebbe piaciuta un'amicizia con lei come quella col ragazzo trentenne col quale discettavo di fi(che avete capito?)sica.

Rimango lì coi miei desideri che scopro velleitari cercando di convincermi che Mariella non mi interessa davvero - come potrei sono solo un bambino -.
Contemplo questo mio desiderio di conoscenza amicale e mi sembra così fuori luogo, così sproporzionato, così velleitario.
Non so quanto tempo passa.
Un tempo tutto mio perché nessuno mi verrà a cercare, visto che mamma sa esattamente dove sono visto che mi ci ha lasciato lei lì davanti all'abitazione di Mariella.

Non penso all'effetto destabilizzante di mia madre che non mi aveva preso sul serio lei per prima, lasciandomi lì da solo.

Mi sento troppo inadeguato per agire. Mi ritrovo da solo coi miei desideri senza riuscire ad avere il coraggio nemmeno di provare a realizzarli,  deluso nello scoprire che non riesco a prenderli sul serio.

E il ricordo ancor m'offende.




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