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L'entropia è una strada da percorrere d'ambo i lati



Da piccolo ero attratto dal fuoco. Mi piaceva guardarlo, sentirne il calore, e appiccarlo, anche.
Dato che altrimenti di fiamme non ne ce n'era occasione e la fiamma del gas non conta.

Così, quando rimanevo da solo nelle stanze, mettevo mano ai fiammiferi e davo fuoco a cuscini e altri oggetti infiammabili.
Una volta toccò al cuscino della sedia in cucina, le fiamme raggiunsero un'altezza imprevista dandomi  una soddisfazione immensa.

Un'altra volta toccò a un reggiseno imbottito di mamma, che bruciò in una fiammata, che delusione.

Mamma si arrabbiò non tanto per il reggiseno ma perché,  come cercò di spiegarmi, bruciando il reggiseno sul pianale di marmo del suo lungo comò, avevo rischiato di bruciare i soldi che aveva lasciato incustoditi tra il portagioie e lo specchio.

I ricordi di fiamme alte sono tutti a casa di nonna e dunque dopo la separazione repentina dei miei, quando mamma era già incinta di Silvia.

Diciamo che la mia piromania era il sintomo dell'avvento di mia sorella.

Mamma aveva una abitudine salutare e avita, però mortale e sgradita a un bambino di due anni: la pennica postprandiale, che per me era sinonimo di noia totale.

Ricordo questo tempo dilatato e infinito, molliccio e caldo,  nel quale il sonno materno mi imponeva silenzio.
Non potevo cantare (simulando il giradischi usando all'uopo una pentola che manovravo facendola girare per uno dei due manici), non potevo danzare (in realtà mi muovevo scoordinatamente ma questo ancora non me lo aveva fatto notare nessuno) non potevo correre, dovevo rimanere fermo, zitto e in silenzio.
Avevo anche provato a mettermi a letto, ma la sindrome di Simmonds* mi colpiva sempre, spietata.    

Come resistere alla noia?

Con creatività.

Per esempio prendendo la teglia piena di acqua d'ammollo, che mamma aveva lasciato nel forno prima di lavarla (i piatti li faceva sempre post pennica), portarla in balcone non senza difficoltà e farne colare il contenuto piano piano, fuori dal balcone, mentre quella del piano di sotto, alla quale pioveva  quest'acquolina unta, questo sugo pallido, chiamava inutilmente mamma signora signoraaaaa mentre io continuavo inesorabile a farle piovere acqua oleosa sul balcone.

Facevo queste cose con la stessa indole del gatto, per vedere l'effetto che fa. 

Ricordo l'espressione di delusione di Cirillo, il mio secondo gatto, dopo che aveva fatto precipitare dal pensile alto della cucina la vecchia radio a valvole di nonna, che era esplosa con una deflagrazione che nemmeno Nagasaki... e lui era lì che guardava dall'alto del pensile alto, con un muso che diceva tutto qua? Is that all there is?

Questa mia passione piromane tradiva l'anima luddista che era in me.

Lo stesso luddismo che da piccolo mi faceva aprire i giocattoli inesorabilmente, che mi avrebbe fatto piacere i film catastrofici degli anni 70 (L'inferno di Cristallo, quasi un film porno, con quelle scene di incendio che mi eccitavano senza riposo) e che mi avrebbe fatto provare immensa soddisfazione dalla distruzione delle astronavi di Star Trek (L'ira di Khan altro porno immenso).

Non era l'aspetto catastrofico a eccitarmi. Le morti, le persone ferite, il dolore e il caos erano ammennicoli secondari, per me insignificanti.

Da vero luddista a me non piaceva la morte e il dolore umani, piaceva la distruzione, l'accartocciamento, la riduzione a zero della complessità tecnologica, piegata alla perdita di forma dalle leggi della fisica. Più un oggetto era di alta tecnologia più mi piaceva assistere alla sua distruzione.

La forza bruta prevaleva su qualunque sforzo tecnologico.

Questo mi dava soddisfazione.

La tecnologia non aveva vita, per cui alla sua distruzione seguiva sempre una ricostruzione.

Solo l'organicità se finiva spariva.

E' anche vero che mi piaceva il contrario.

Una stanza in disordine che viene messa a posto.
Una casa fatiscente trasformata in un oggetto di design, una vecchia astronave aggiornata alle ultime innovazioni tecnologiche.

L'entropia è una strada da percorrere d'ambo i lati.

Ecco, se solo mia madre avesse saputo di questa mia vocazione alla distruzione, il suo concetto di maschio fallato avrebbe conosciuto raggiunto nuovi orizzonti, raggiunto nuove dimensioni, avrei persino potuto superare papà.

No, anche quello sarebbe stato un successo.

E mia madre non poteva riconoscermene alcuno.

Giammai.





* Nel secondo episodio della prima stagione di Spazio 1999, il primo episodio prodotto dopo il pilota, il Commissario Simmonds prende con la forza un posto rimasto vacante nell'astronave dei Kaldariani diretta verso la Terra. L'astronave ci metterà 75 anni per raggiungere il nostro pianeta e per compiere il viaggio l'equipaggio viene messo in stasi, con una tecnologia che non usa la criogenesi ma il sonno profondo.
Così tutti partono, Simmonds nel posto preso con la forza. Ma poche ore dopo Simmonds si risveglia e rimane intrappolato nella camera di stasi unico sveglio mentre gli altri sono tutti addormentati.

Ogni volta che mi sveglio molto prima di quanto non dovrei (tipo alle tre del mattino, così, senza motivo alcuno, mi capita almeno tra quattro volte l'anno) mi dico di soffrire della sindrome di Simmonds.
Mi pare un paragone appropriato. 

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