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L'abbottonatura a sinistra



Sono solito dire di essere uno che si copre e non si veste.
Questo non è completamente vero. Anche se non ho mai seguito le regole della moda ho cercato di avere un mio stile, soprattutto quando ero magro e potevo scegliere tra diversi capi di vestiario. Oggi che sono enorme mi devo accontentare di indossare quello che mi entra.
  
Quando avevo 20 anni e avevo cominciato a guadagnare i primi soldi con la mia scrittura potevo permettermi di acquistare qualche accessorio che desse uno stile al mio modo di vestire.
Prima c'erano state le bretelle (ne avevo una collezione) che io indossavo riverse, al contrario, il retro sul davanti (ero magra potevo permettermelo).
Era il tempo della ribellione alle pressioni sociali della moda, per cui cercavo di smarcarmi appena potevo. Non ero da solo in questa ricerca.
Nel periodo di massima diffusione delle espadrillas, estate del 1987, io e Frances eravamo solite scambiarci le calzature,  avevamo lo stesso numero di piede, il 42 (quando ero giovane e magra, oggi ho il 43) e questo ci permetteva di scambiarci le scarpe, una sola.
Così io e Frances andavamo in giro con le espadrillas spaiate, di colore diverso. Ci consultavamo al telefono prima di vederci per stabilire quale espadrillas indossare visto che poi ce le saremmo scambiate.
Lo abbiamo fatto per un paio d'anni.
Poi quando abbiamo visto su una rivista di moda un modello che indossava due scarpe da ginnastica di colore diverso abbiamo smesso.

Non possiamo dire di avere influenzato la moda, ma di averla anticipata sì.

C'è stato un periodo in cui io e Frances insieme facevamo girare la gente per strada che ci guardava per il modo unico in cui vestivamo.

Frances vestiva pantaloni maschili, sui quali metteva delle camicie maschili e sopra quelle una giacca che portava all'italiana, sulle spalle, non indossata, o appesa dietro una spalla. Spesso indossava uno  uno dei cappelli di Fernando, suo marito, che non c'era più.

Io attingevo dall'armadio di Mariù. La mia magrezza mi dava la possibilità di scegliere tra i tanti pantaloni, suoi o  lasciati da amici e amiche.
Potevo indossare così  pantaloni coloratissimi, verdi, rossi, bianchi con con delle righe patriottiche (verdi e rosse) che mi stavano attillatissimi, sui quali indossavo le camice più improbabili,  brasiliane verdi con dei pappagalli rossi e blu, coreane (senza colletto) con le scritte che di solito si trovavano sulle t-shirt, o altre camicie con motivi floreali o geometrici.
Indossavo anche un magnifico orecchino che avevo comprato a Massenzio che consisteva in una piuma di pappagallo della lunghezza di 8 cm incastonata in un gancio d'argento che andava inserito nel lobo (per cui bisognava avere il buco), non ho mai sopportato gli orecchini a clip, a fine serata ti ritrovi col lobo dolorante.
Io e Frances non avevamo mai avuto un particolare contratto fisico, quello c'era più con Mariù, eppure quando sfoggiavano il nostro modo di vestire, potevamo camminare a braccetto, magari fischiettando accennando passi di danza (che lei mi aveva insegnato).
Nelle piazze gremite la gente ci faceva largo e si metteva su due file a guardarci. Giuro.
Frances celiava su questa loro reazione commentando che la gente pensava  non so chi ho incontrato ma sicuramente era qualcuno di importante.

Una volta che Frances era vestita alla garçonne e io coi pantaloni patriottici e la camicia brasiliana, su via del Corso, esattamente nel punto in cui anni prima avevo attraversato all'improvviso per sottrarmi a papà, ma stavolta in direzione opposta, da piazza Montecitorio verso galleria Colonna, qualcuno da una macchina sportiva, passando rombante davanti a noi, ci grida a frociiii.

Frances in tutta risposta fa Chi? Io?? Ma io sono donna!!! e si sbottona la camicia facendo vedere il reggiseno.
Al che io aggiungo, a voce altissima, Anche io sono donna!!! E Frances mi redarguisce con uno Stai zitta!!! E scoppiamo a ridere.   

Un paio danni prima avevo avuto un mio stile dark trasformato secondo il mio gusto e le mie possibilità. Laddove non poteva l'armadio di Mariù c'era sempre quello di mamma.

Che si trattasse di cinture di cuoio intrecciate con delle perline di vetro nere, o di suoi gilet coi bottoni di finta madreperla nera e traslucida riuscivo ad avere un look coerente.

Mettevo anche la matita nera sugli occhi come fa ancora oggi Johnny Depp esattamente per gli stessi motivi.
Già allora si creavano le prime discussioni tra amici.
Un ragazzo che frequentava i miei stessi endroits aveva commentato, positivo e sostenitore, Bravo! Fai uscire la donna che è in te! e io gli spiegavo inutilmente che se un uomo si trucca non lo fa per apparire donna, proprio come le donne non si truccano per apparire donne ma per apparire belle.

Una sera mamma mi sorprende col suo gilet indosso e si adonta. Mi dice preoccupata Mica vorrai uscire con quello?
Il gilet era nero ed era molto più sobrio di certe camicie estive che avrei indossato.
I bottoni però erano squisitamente femminili e, last but not least, il gilet aveva l'abbottonatura a sinistra.
L'abbottonatura maschile è a destra.

Provai a spiegare a mia madre che indossavo il gilet sotto la giacca e che, non dovendo levarmi la giacca perché restando per strada, nessuno avrebbe visto i bottoni (un po' vistosi anche per me, dell'abbottonatura invece non me ne fregava niente).

Mia madre non volle sentire ragioni.
Per lei se indossavo un gilet femminile era perché volevo apparire femmina.
Vai a spiegare, nel 1985, a una mamma mediamente omofoba, che se un ragazzo ama i ragazzi rimane ragazzo e non diventa per quello femmina, anzi. Senza donne di mezzo è tutto un profluvio di virilità.

Mia madre mi disse che non sarei uscito di casa con quel gilet e mi intima di togliermelo.
Al mio diniego me lo strappa di dosso. 
I bottoni strappati cadono per terra. 
Fossimo in un film si vedrebbe il dettaglio dei bottoni che rimbalzano e si sparpagliano sul pavimento. 

Io in tutta risposta le lancio indosso il mio libro di educazione civica gridandole che c'è una Costituzione che mi garantisce certi diritti che lei ignora e che deve studiarla. 

Mia madre raccoglie il libro e lo getta fuori dalla finestra. 

Io mi spavento. Siamo al terzo piano e il libro, voluminoso, se colpisce qualcuno può fare male. 
Poi mentre mia madre si accascia su una sedia io mi affaccio al balcone per vedere dove il libro è caduto. 

Questa scena nel film di Pialat non c'è.

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