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Il sole non va a dormire


Io sono sempre stato tutto di un pezzo.

Se mi piace un autore, un'autrice, devo avere tutti i suoi libri, le sue canzoni, i suoi film. 
Non solo vedere, leggere, ascoltare, ma possedere.  
Tenere tutti i dischi, tutti i libri, tutte le videocassette, i dvd, lì sugli scaffali, quelli della memoria di Ann Steel.
Non era l'unico eccesso nel quale indugiavo.

Un'estate a Cervia, avevo nove anni, nonna mi portava in questo bar un po' distante dall'albergo e dalla confusione serale di quel luogo di villeggiatura, dove c'era questo cameriere, non giovanissimo, del quale mi ero in qualche modo invaghito. 
All'epoca ogni adulto che mi rivolgeva la parola senza trattarmi da bambino deficiente riceveva la mia gratitudine eterna. 
Così era stato con lui. 
Non era giovane, non era bello - non crediate che a nove anni non sapessi distinguerlo - ma era gentile, era solo, il bar era sempre vuoto, e aveva un jukebox con una canzone che gli piaceva molto. 

All'epoca con 100 lire potevi scegliere tre canzoni e di solito, da quando avevo scoperto che c'era una canzone che gli piaceva, una delle tre selezioni era sempre per lui. 
Quella sera avevo voluto strafare e avevo scelto per tre volte la stessa canzone. 

Quando glielo dissi, vantandomi di quel gesto di simpatia, lui se ne preoccupò immediatamente correndo verso il jukebox, dicendo che se selezionavi la canzone tre volte di seguito il juke box andava in panne. Ecco che un gesto di cortesia era diventato una fonte di guai. 
La magia era rotta.

Le mie visite non sancivano più una amicizia tra un uomo solo e un bambino altrettanto solo, la contingenza del reale, indifferente e ignara, si era messa in mezzo facendoci precipitare entrambi nella nostra realtà. La sua da barista con una rogna in più da affrontare la mia di bambino che voleva la considerazioni degli adulti non avendo quella della propria famiglia.

Eppure sapevo essere un brillante conversatore.

Sempre in quella vacanza c'era questo giovane uomo, avrà avuto 30 anni, che veniva a prendermi, chiedendo il permesso a mia madre, per fare una passeggiata sul bagnasciuga, dove parlavamo di tutto. Di astronomia e di musica, di dio, al quale io già così piccolo non credevo, di quello che sapevo sui pianeti e sulle galassie. Lui mi chiedeva io rispondevo e non mi pareva vero che invece di trovare le mie risposte assurde e campate in aria come faceva mia madre, mi stesse ad ascoltare entusiasta, curioso e pronto a saperne di più. 

Più crescevo nella Ginecrazia, che pure amavo, più mi rendevo conto di quanto fossi tollerato e non accolto, perché ero un maschio. 
Un maschio strano, non allineato, per quello avevo il privilegio di accesso, ma quando dicevo cose strane, quando parlavo cioè di buchi neri e di relatività, venivo percepito come un maschio che sta cercando di imporre il suo sapere alle donne, e le donne mi schernivano, si difendevano, ripristinavano la femminilità della ginecrazia che il mio sapere secondo loro metteva in discussione e in pericolo. 

In realtà era mia madre a entrare in competizione, a opporsi al mio sapere che non conosceva e che preferiva respingere come strano invece di vagliarlo con curiosità come faceva quel ragazzo al mare. 

Quando sentivo che la mirellacrazia - che io avevo idealizzato in una ginecrazia totipotente -, era  diffidente, quando mi accorgevo che lì il mio sapere non attecchiva ho sempre pensato che le mie ragnatele dell'uomo ragno non attecchissero perché avevano qualche difetto. 
Fuor di metafora, dando per scontata l'autorevolezza del mio sapere, non perché lo sapevo io, ma perché l'avevo letto sui migliori libri di divulgazione, se non venivo ascoltato, creduto, tenuto in conto,  era per una mia mancanza di credibilità che io afferivo alla mia mancanza di maschilità. 

Quel potere contingente che in una società patriarcale hanno tutti i maschi, anche i froci, a me mancava.
E se in casa non mi riconoscevano quel privilegio non poteva che essere perché io non ero maschio. 

Per questo mi sono sempre sentito un millantatore quando ho rifiutato, presto, quel privilegio patriarcale che in realtà, mi dicevo, non mi era mai stato veramente riconosciuto.

La mia lotta al patriarcato,  la  mia rinuncia ai privilegi del patriarcato, in fondo in fondo ho sempre temuto fosse un esempio di uva acerba per la volpe che non riesce a raggiungerla.

Ho sempre creduto che per criticare qualcosa la devi prima conoscere, maschilismo compreso. 
Ma come rinunciare a un privilegio che non ti è mai stato dato?

Non contava se io non ero maschilista e del patriarcato non sapevo che farmene. 
Contava che nessuno mi aveva mai riconosciuto quei privilegi ai quali io pretendevo di voler rinunciare. 
Come se la mia rinuncia fosse un ultimo disperato tentativo di accedervi a quei privilegi. Se vi rinunciavo voleva beni Dre che li avevo avuti, prima.
Certo un bambino di 9 anni che dice che non ha bisogno di dio per spiegarsi l'universo e che per quello bastano le menti degli uomini e delle donne può dare fastidio, può fare paura. 

Ma quando dicevo queste cose e mi ridevano dietro o in faccia ho sempre pensato a qualche errore mio. Non ho mai sospettato che gli adulti, le adulte, cui mi rivolgevo potessero essere ignoranti come zucche. 

La mia formazione scientifica, che è quella di un liceale, non di un universitario, mi è sempre stata di intralcio con le amicizie non perché io sia particolarmente intelligente, ma perché la borghesia italiana è quella scientificamente meno preparata d'Europa.

Non c'è niente di peggio che parlare con qualcuno che si presenta come studente di fisica e poi ti corregge quando gli dici che materia ed energia sono la stessa cosa e lui ti vuole far capire che invece sono molto diverse. Sarà anche studente di fisica ma non ha capito il vero significato di e=mc2 

Anche Andrea, il mio ex, diceva che ci doveva pur essere qualcosa che andava al di là della nostra comprensione, un limite per garantire la necessità di mettere dio nell'equazione...

Così la mia amica Mariù poteva dire corbellerie terribili come che le esperienze degli animali vengono trasmesse geneticamente alla prole.  Lamarck le dico e lei Come? E io ripeto Lamarck pensava che se a una giraffa che a furia di mangiare le foglie più in alte si è sviluppato il collo trasmetterà quel cambiamento alla prole. Poi è arrivato Darwin... 

Questa sua stupidità scientifica si esprimeva anche in una sottile meschineria quando, per criticare le idee di una persona, usava come argomentazione negativa  qualche suo caratteristica fisica. 
Così per criticare la politica di Antonio Guidi, ministro per la famiglia e la solidarietà sociale nel primo governo Berlusconi, Mariù  pensò bene di fare battute disgustose e irricevibili sul fatto che era su una sedia a rotelle. 
Quando io le spiegai che la tetraparesi non c'entrava nulla con le idee politiche del ministro vidi in Mariù lo stesso sguardo opaco di incomprensione che avevo visto in mia madre quando cercavo di spiegarle che una pratica sessuale non dirime orientamento sessuale alcuno e che l'Hiv lo si prende con delle pratiche sessuali non a causa di un orientamento sessuale.

Sono sempre stato circondato da imbecilli.

Non perché io sia particolarmente intelligente ma perché sono mediamente più intelligente della mia famiglia e di tutta la piccola borghesia che ho avuto la possibilità di frequentare. 

Non ho mai saputo come comportarmi con qualcuno, qualcuna, che quando gli spieghi Darwin ti dice che Darwin diceva che discendiamo dalle scimmie. 

Mi è capitato anche a convegni di cinema dove una docente universitaria specializzata in narrazioni  scientifico didattiche usava tranquillamente come metafora il cronogramma che parte dal primate e arriva all'homo sapiens senza preoccuparsi di specificare che fosse fondato su una semplificazione errata secondo la quale Darwin avrebbe detto che discendiamo dalle scimmia.

Cosa che Darwin non si è mai sognato di dire.

E quando io, durante la pausa caffè, glielo faccio notare, i miei due amici cinematografari che avevano organizzato il convegno, che era di cinema, chiesero ma ne siamo sicuri? per paura di fare una figuraccia con la docente 

Darwin sta nel programma di liceo. Anche se si occupavano di cinema dovevano avere quelle nozioni. 

Quindi alla faccia del patriarcato!

Io non mi sono mai accontentato della prima risposta, quella che mi diede mia madre quando le chiesi dove andava il sole dopo che tramontava e lei mi aveva risposto a dormire e io le avevo ribattuto ma mamma che dici il sole mica è una persona!!!

Anche il sapere, lo devo avere tutto.

Di subito drizzato gridò: tutto o mezzo? 




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