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Il corpo non è un tabu (meglio emorroissa che statua)


Non ho mai avuto problemi a spogliarmi davanti alle persone.
Mia madre mi avrà instillato tante cose ma il senso di vergogna per il corpo mai.
Sarà che in casa siamo sempre state libere di girare poco vestite.
Questo non vuol dire che andavamo in giro nude.

Anzi ho sempre trovato scomodo camminare coi gingilli all'aria.
La mutanda contiene e fa rimanere tutto al suo posto.
Anche mamma ha sempre avuto dei seni troppo prominenti per poter star comoda senza reggiseno.
Però se capitava che si dovesse cambiare davanti a me non mi ha mai chiesto di girarmi o di andarmene dalla stanza.
Così potevo prenderla in giro per un vistoso neo che aveva sotto il capezzolo sinistro che io avevo ribattezzato capezzolo per neonati con bocche malformi e lei, ogni volta, mi diceva smettila, perché quel neonato con la bocca piccola le faceva pena...
Queste mamme...

Negli anni a cavallo tra le medie e il primo liceo, facevo la doccia solamente il sabato sera.
Dopo cena, un doccione lungo, immenso, dal quale uscivo illanguidito e rilassato.
Poi mi riprendevo ascoltando qualche canzone dalla mia collezione di quarantacinque giri tra cui spiccavano Rio de Janeiro di Marcella e Folle città di Loredana che era il retro de E la Luna bussò.

L'abitudine di farmi la doccia una volta al settimana l'avevo ereditata dalla ginecrazia.
Quando eravamo piccoli, e andavamo ancora alle elementari, nonna ci lavava nel lavandino di marmo in cucina. Credo per tenere il bagno pulito o lasciarlo libero per mamma.

Una mattina al rientro a scuola dopo le vacanze di natale, avrò fatto la terza elementare, nonna entra in camera mia e di Silvia con un enorme catinella nella quale lava prima me e poi mia sorella, così, d'emblée, senza darci il tempo nemmeno di svegliarci, dalle braccia di Morfeo a quelle forzute di nonna che ci lavava.
Ne serbo ancora un ricordo terribile.

Durante la settimana ci si lavava a pezzi, le ascelle dopo i denti e la faccia, il sedere e la picciolla nel bidet, dopo avere fatto la cacca.
Per il resto si puzzicchiava sempre un po' come tutti i pre adolescenti.

Quando ho scoperto l'uso quotidiano della doccia mi sono sentito un'altra persona.
Nella casa di Monteverde avevamo però uno scaldabagno la cui acqua doveva bastare per quattro persone. Forse anche per questo le docce venivano contingentate.
Uno dei lussi maggiori per me è farmi la doccia senza temere di finire l'acqua calda.

Per farmi la doccia al di là del sabato sera ho dovuto imparare a farmene una veloce perché non potevo finire l'acqua. Conquista notevole, visto che sono sempre stato alquanto lenta in tutto, camminare, correre, vestirmi, persino nel mangiare, da bambino il gelato mi colava fino al gomito..., ero lenta anche nel portare il cibo alla bocca, che mi cadeva puntualmente sulle magliette che erano sempre tutte padellate, piene di macchie.

Per questo amavo la doccia del sabato sera la sera, dopo cena, perché potevo tranquillamente finire l'acqua che tanto non serviva a nessuna in casa.

Da bambino d'estate vestivo minimal, maglietta a righe senza maniche, pantaloncino corto che lasciava scoperta sempre una natica, tant'è che la mamma di Marco una volta mi invitò a ricoprirmi quel mezzo culo de fora. Jenny era brasiliana e parlava un italiano preciso nella sintassi ma con una pronuncia insolita e un accento esotico.  Jenny era venuta ad abitare nell'appartamento che era stato di zia Lilla dopo che il cancro se l'era portata via in nemmeno un anno.
Frequentavo abbastanza casa di Jenny soprattutto quando Marco veniva in visita dalla madre, lui che viveva a Milano col padre Romildo.

Nonostante la mia lentezza potevo avere gesti inconsulti e così potevo lanciare i vestiti dei quali mi spogliavo per aria, così, tanto per vincere una pigrizia avita, che mi avrebbe indotto a non cambiarmi mai oppure a non venirmi proprio e rimanere nudo.
Pedalini e magliette volavano quindi sopra il lampadario di camera mia (e di nonna) rimanendo a volte impigliati allora interveniva nonna sganciando le mutande appese manovrando il manico del battipanni mormorando vastase.

Una sera che ero in vena di lanci arditi, mia madre, al telefono con una sua qualche collega di ufficio, vedendo i miei capi per aria, le disse vedo mutande volare probabilmente sarà mio figlio che si sta spogliando. 
Quel commento mi atterrò: iniziai a ridere e ne risi a lungo e per lungo tempo, nelle settimane a venire.
Ancor adesso che ne scrivo non dico che mi faccia venire lo scattidio ma mi fa sorridere mentre le labbra si avvicinano sempre di più alle orecchie...

Pur non essendo mai stato un tabù il corpo femminile aveva una biologia peculiare  che ingenerava una interdizione che all'epoca non mi erano affatto chiara.

Una volta mamma mi aveva mandato a comprare degli assorbenti interni dal pizzacarolo e si era raccomandata di farmeli incartare che nessuno per strada vedesse cosa avevo in mano.
Ci mancava solo che mi desse delle pinze in titanio, manco fossero radioattivi.

Io non mi capacitavo di tanta segretezza e mi scervellavo per capire a cosa servissero quei cosi, così il mistero raddoppiava.

Non avendo nozione del mestruo pensavo a una sorta di supposte vaginali ...per la pulizia ? ...per la cura di qualche infezione? Ma allora perché si comperavano dal panettiere e non in farmacia?

Capivo che erano cose da donne ma perché mai era disdicevole che io li manipolassi?

Anni dopo, al Liceo, con Roberto, il conduttore del laboratorio teatrale, stavamo discutendo di un passaggio narrativo di Cenerentola Zang Tuumb Tumb che non lo convinceva quando Barbara, la sua donna, ci chiese di andarle a comprare degli assorbenti, esterni.

Concentrati nella nostra discussione ero alquanto distratto mentre porgevo al farmacista la confezione di assorbenti per pagarla. Così quando quello, sottovoce, mi chiese vuole che glieli incarti? manco fossero cazzi finti con le venature bene in vista, lo guardai con sguardo interrogativo lui fece un cenno discreto agli assorbenti che tenevo in mano e io gli risposi con un nooo sospirato che lo sbaragliò.

L'interdizione sul mestruo è talmente forte da fare effetto su tutte quelle e tutti quelli che in qualche modo vi hanno a che fare.

All'università quando noi studenti facemmo un laboratorio teatrale autorganizzato uno degli esercizi di improvvisazione più riusciti che suggerii riguardava proprio gli assorbenti intimi. 
Diedi alla mia amica Patrizia e a quest'altra ragazza della quale non ricordo più il nome da improvvisare  l'acquisto di una confezione di assorbenti in farmacia.
Avevano due minuti per mettersi d'accordo, decidendo ruoli e canevaccio prima di improvvisare.
Patrizia criticò l'assegnazione dicendo che era ridicola, che lei neanche li chiedeva al farmacista li prendeva da sola dallo scaffale.
Io le dissi che non c'era problema. Tu comportati come ti comporteresti se li dovessi comprare per davvero.
Così dopo un breve accordo con l'altra ragazza Patrizia entra nella farmacia, mentre cerca con lo sguardo lo scaffale con gli assorbenti. Naturalmente è tutto mimato, siamo nell'aula studenti della facoltà di lettere, ma Patrizia è così precisa nei movimenti e nei gesti che noi vedevamo gli scaffali.
L'altra ragazza, che faceva la farmacista, la segue senza nemmeno chiederle serve aiuto? con fare inquisitorio come se Patrizia fosse una ladra da controllare.
Poi quando Patrizia, sperduta, non trova lo scaffale, rassegnata chiede alla farmacista degli assorbenti e quella risponde in francese che Je ne comprend pas  
Patrizia cerca di descrivere alla farmacista cosa siano gli assorbenti in un francese ostentatamente maccheronico, ignorandone il nome francese.
Mima il fastidio che si prova quando si hanno le mestruazioni, accenna a uno svenimento, cerca di descriverne la forma con le mani, ma la farmacista risponde sempre Je ne comprend pas. 
Poi, proprio quando Patrizia sta per rinunciare, quella capisce e dice aaaah les serviettes! Nous ne les avons pas. Come non li avete?! fa Patrizia  che sempre nel suo francese maccheronico commenta et moi que fait je moi, je met la main?

Un capolavoro di tempi comici, di psicologie dei personaggi, di botta e risposta, di comicità pura.
Avevamo le lacrime agli occhi.

Io avevo dato apposta un tema sensibile, sperando che una o entrambe fossero in difficoltà a parlare di quello al resto del gruppo.
Poi feci notare al gruppo che dalle nostre resistenze nascono le improvvisazioni migliori.
Lo avevo scoperto al laboratorio del Liceo e mi era stato confermato da quel capolavoro di esercizio appena eseguito

Non dobbiamo mai negare le nostre difficoltà ma usarle, sulla scena come nella vita.

Non ho mai capito, né condiviso, quel certo imbarazzo che nasce spesso quando si parla di mestruazioni.

Una volta sulla spiaggia,  Marino, l'allora ragazzo di mia cugina Paola, se lo sposerà anni dopo, incuriosito da uno strano oggetto che usciva dalla sua borsa, tirò fuori un assorbente, di quelli giganteschi di una volta, oggi si stenta a credere siano mai esistiti così grandi,  con grande imbarazzo di Paola, che gli urla strappandoglielo dalle mani ma che faiii lasciaaaa come fosse stato un assorbente usato e non uno intonso. Marino sembrava non sapere cosa fosse quello strano rettangolo gonfio di cotone e io non me ne capacitavo, com'era possibilità che io che ero frocio conoscevo la fisiologia delle donne e lui che con mia cugina ci scopava non sapesse nulla?
Possibile che la segregazione di genere ci renda così bambacioni?

Comunque trovavo allora e vieppiù oggi davvero ingiusto che una normalissima funzione corporale possa diventare strumento di imbarazzo e umiliazione per le donne (e se Marino sapesse benissimo cosa fossero e stesse sfottendo mia cugina pubblicamente?).
Soprattutto trovo assurdo che le donne, invece di mettere in piazza le mestruazioni, cancellandone l'effetto tabuizzante del patriarcato, si sottomettano a quella interdizione con maggior convinzione dei maschi che l'hanno inventata.  

Anche quelle donne che, nel cyberfemminismo, pretendono di essere femministe quando ipostatizzano un corpo cyber finalmente libero dal mestruo visto come strumento di costrizione femminile alla funzione materna.
Come non fosse un aspetto del corpo biologico femminile ma un imbarazzo da cancellare.

Invece di emancipare una funzione corporale si dà corpo alla paranoia patriarcale espungendo il mestruo dal corpo femminile come ne fosse un elemento spurio.

A parte il fatto che le mestruazioni non dicono sii madre ma esattamente il contrario, essendo la celebrazione dell'emancipazione dall'essere rimasta incinta, il rifiuto di una funzione biologica del corpo del proprio corpo da parte di alcune donne femministe  mi sembra foriero di simbolismi oscuri e preoccupanti.

Un punto di vista alienante che sta sempre più prendendo piede nel post femminismo, con delle punte deliranti nello xenofemminismo dove non solamente si fantastica un corpo cyber non più schiavo della biologia ma finalmente emancipato ma si impone una cancellazione dei generi per decisione di qualcuna la cui vocazione a eterodeterminare le vite di tutte le persone fa impallidire Mengele, Hitler e Malthus.

Se io fossi donna non rifiuterei le mestruazioni considerandole come un corpo estraneo.
Sarà che anche io ho delle perdite di sangue, dall'ano, per via delle emorroidi, che ogni tanto si fanno sentire di nuovo e mi inducono a indossare degli assorbenti mini (i cosiddetti salvaslip) per contenere perdite impreviste.
Le mie perdite non sono biologicamente connaturate al mio essere maschio, non sono nemmeno conseguenza di certe pratiche sessuali come il sesso anale ricettivo, che ho sempre frequentato poco, sono piuttosto un'eredità materna (mamma ne soffriva), un difetto del mio corpo molto diffuso che io accetto perché fanno parte di me.
Le mie perdite sono del tutto random, imprevedibili e possono sparire per anni e poi tornare all'improvviso.
Il mio mestruo aleatorio fa di me una emorroissa considerata impura sempre perché non si poteva stabilire con certezza quando fosse mestruata.

Credo che tutta questa faccenda del corpo non biologico che permette alle donne di disfarsi di quelle schifose delle mestruazioni nasca da un equivoco epistemologico che non distingue il simbolico dall'organico sussumendo il secondo al primo mentre è vero il contrario.
Se le mestruazioni hanno degli effetti coercitivi sulle donne non dipende certo dalle perdite periodiche di sangue ma dal costrutto simbolico che su di esso è stato codificato nei secoli.
Un delirio che invece di cancellare il simbolico patriarcale vede in quel corpo una concretezza non mediata alcun patriarcato e cerca disperatamente di ottenere un corpo non strumentalizzabile,  mutilandolo, peggio, negandone la natura organica.

Puro totale delirio.

Io non posso certo dire di essere contento delle mie emorroidi ma preferisco sempre avere un ano organico anche se emorroidario che un ano cyber, non organico, e dunque non sanguinabile. 

Meglio emorroissa che statua.










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