Ecco, magari anche no.
Durante il primo anno di liceo, subito dopo che io e Andrea avevamo iniziato a fare l'amore, iniziammo a frequentare assiduamente la biblioteca della fondazione Besso.
Ci andavamo un paio di volte a settimana, con punte di tre, per documentarci per i nostri studi di liceo dato che né la biblioteca mia né quella di Andrea erano già così consistenti da poterci aiutare.
Quei pomeriggi silenziosi in biblioteca erano un modo per stare insieme, per fare un'esperienza diversa da quelle dei nostri compagni di classe.
Di solito arrivavamo verso le 15.00 quando la biblioteca apriva, e ce ne andavamo verso le 19.00, 19.30 quando chiudeva.
Che si trattasse di Storia, di Geografia o di Lettere o di Matematica, cercavamo sempre dei libri basandoci sul catalogo tematico.
Prendevamo lo schedario e leggevamo tutti i titoli catalogati sotto una parola tematica, annotavamo gli estremi di quelli che ci interessavano di più, li consegnavamo al giovane ragazzo addetto alla reperibilità dei libri (non si poteva accedere direttamente al deposito, era lui che te li andava a prendere) e sfogliavamo i volumi ordinati nella speranza che ci fossero utili, dopo averli aspettati qualche decina di minuti.
Don't judge a book by it's cover ma anche del titolo non ti puoi fidare.
Spesso i libri parlavano di tutt'altro o con un taglio che non ci interessava, oppure erano troppo vecchi per avere notizie aggiornate.
Sì perché noi non ci dedicavamo solamente alla scuola ma anche ai nostri interessi personali, che erano, come sapete, l'astronomia, l'astrofisica e la fisica delle particelle.
Io cercavo info anche su Mina o su qualche musicista (Beethoven, Prokofiev, Camille Saint-Saëns) Andrea aveva i suoi.
Qualche volta i libri si rivelavano un esempio di serendipità, e scoprivamo qualcosa di completamente diverso.
La lettura non avveniva solamente in loco, di molti libri, ma non di tutti, potevamo chiedere anche delle fotocopie, ce le faceva sempre il ragazzo-garzone, vestito con un camice tra il grigio e il marrone.
Il ragazzo era molto flemmatico e i tempi di attesa erano sempre abbastanza lunghi sia per la reperibilità che le fotocopie. Per quelle non c'era problema perché tanto le avremmo lette dopo, a casa. Delle quattro ore che stavamo lì una se ne andava sempre in attese.
Io e Andrea a volte ci eravamo chiesti di quel ragazzo, che, secondo noi, spogliato della sua flemma e di quel camice color cacarella, poteva uscire fuori anche carino.
Del frequentare Andrea amavo il fatto che fossimo sempre noi stessi, quando stavamo in biblioteca, oppure in classe seduti allo stesso banco, e anche quando eravamo a letto a baciarci strusciando i nostri bacini eccitati l'uno contro l'altro.
Non due ragazzi che scopano, non due topi di biblioteca, non due astrofili in erba, ma tutte queste cose e tante altre ancora insieme, io e lui.
Col tempo avevamo fatto amicizia con la bibliotecaria, una simpatica signora, svelta quanto il ragazzo era flemmatico, e cordialissima, che ogni volta che ci vedeva ci sorrideva ed era contenta di parlare con noi. Io avevo anche iniziato a credere che lei avesse capito che io e Andrea eravamo una coppia, chissà.
Una sera, mentre mi attardavo a chiacchierare con lei, prima di tornare a casa, con Andrea che fremeva, mi cadde l'occhio su una targa posta sulla scrivania della bibliotecaria, che non avevo mia visto prima, nella quale c'era scritto che avevano diritto di accesso alla biblioteca solamente gli studenti universitari.
Io, sgomento, credendo di essere causa di una frode involontaria, le dico, come se avessi trovato dei soldi nella mia borsa che non mi appartenevano, indicando il cartello Ma noi non siamo universitari.
La bibliotecaria mi sorride, e mi risponde, Sì lo so. Ma il bello di essere bibliotecaria è che si possono fare delle eccezioni per le persone che si ritengono meritevoli e non riesco a immaginare qualcuno che se lo meriti più di voi.
Io e Andrea diventiamo rossi come due peperoni, ringraziamo un po' balbettando e un po' no, e ce ne andiamo, con un sorriso ebete stampato sulla faccia che continua anche quando saliamo sul 44 che fa capolinea proprio di fronte la biblioteca e che ci riporta a casa.
Io compro libri da quando avevo 12 anni, oggi avrò forse ottomila volumi.
La biblioteca per me non è mai stata un posto dove andare a leggere i libri di cui conosco l'esistenza.
Quelli me li compro. Punto.
La biblioteca per me è sempre stata sempre un luogo di scoperta di libri che non conosco e di libri che non posso comperare perché sono fuori catalogo o rari da trovare o perché costano davvero troppo.
Poi dal 1990, era ancora viva mamma, ho aperto un conto Einaudi, che ho tuttora, e che mi ha permesso di comperare, a rate, libri che altrimenti non mi sarei mai potuto permettere.
La biblioteca per me era un posto di pari (peers) un posto dove nessuno pensava che ero strano se a 14 anni avevo già 200 volumi, molti dei quali erano di consultazione per cui li leggevo sì ma non tutte le pagine (e mia madre se ne lamentava, ma che li compri a fare se non li leggi...) e dove non dovevo difendere la sacralità del libro che invece nella Ginecrazia, ma anche tra i compagni e le compagne di scuola, era considerato solamente un oggetto, ricettacolo di polvere, da lanciare addosso per farti uno scherzo cretino.
La biblioteca per me era un rifugio.
Anche quando facevo sega a scuola me ne andavo in biblioteca a leggere quello che volevo io e non quello che qualcuno altro aveva deciso io dovessi leggere...
Fu alla biblioteca Marmorata, che non esiste più da tanto tempo, che scoprii la sceneggiatura di Zabriskie Point. Fu lì che feci amicizia con una bibliotecaria, romana verace, che aveva per me l'affetto di una parente.
Me la sono ritrovata una quindicina di anni fa alla Fiera della piccola editoria al palazzo dei Congressi, in una sezione geniale della Fiera dove chiunque poteva scegliere due libri tra quelli di una serie di editori prescelti, farli comprare al sistema bibliotecario del Comune e prenderli subito in prestito.
Lei era al desk di registrazione e appena mi vede mi chiama per nome. Ancora si ricordava!
Fu come rivedere la tata che da piccolo ti accompagnava a scuola, che ti preparava da mangiare e ti aiutava afre i compiti.
A me nessuno mi ha mai aiutato a fare i compiti.
Baci, abbracci, veloce riepilogo della nostre vite e poi ognuna torna a immergersi nella propria vita.
Ho sempre pensato alla mia adolescenza come a un periodo di inettitudine e borzaggine.
Mi scopro fidanzato, autorizzato a entrare in biblioteche dove non sarei altrimenti potuto entrare, a leggere libri che volevo io e non quelli della carriera scolastica.
Non male per un borzo.
Dobbiamo stare attenti a come ci raccontiamo il passato.
Finisce che rischiamo col credere alle calunnie che parenti invidiose e malgiudicanti ti impongono perché ti temono, perché sei tanto diverso da loro.
Grazie mamma, grazie Silvia, per avermi fatto sentire una merda totale nella mia adolescenza.
Ecco, magari, anche no.
Commenti
Posta un commento