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C'è mamma al telefono




Saranno state le 6.30.
Il telefono squilla e io mi ritrovo giù dal letto a rispondere prima ancora di potermi spaventare per la telefonata così mattutina. Mamma è in ospedale e una telefonata, anche se foriera di chissà quali notizie, non mi spaventa mi rende pronto ad agire.
Ale? mi dice la voce di mamma prima ancora che dica pronto.
A casa sono solo.
Da quanto mamma si è ricoverata in ospedale per operarsi al cuore Silvia vive da Zia Clara. Mamma temeva che io e mia sorella da soli a casa ci saremmo scannate.
E aveva ragione.

Hai preso gli scarponi da neve? mi chiede con la voce che quasi vuole piangere, come quando da piccoli siamo a scuola e ci manca mamma.

Mamma... che dici, siamo ad Aprile, le rispondo, più imbarazzato che preoccupato per quello che mi sembra un deliro ingombrante.

Hai visto fuori dalla finestra? mi chiede la voce spazientita come se stessi chiedendo quale bomba? quando ho solo 60 secondi per disinnescare il detonatore.

Apetta le dico e corro alla finestra di camera mia che dà sulla strada.
E' tutto innevato, strada, marciapiedi, balconi, finestre.
L'ordine di realtà è ripristinato. 

Mentre tiro un sospiro di sollievo corro al telefono e le rispondo Sì sì mamma la disinnesco la bom... me li metto gli scarponi da neve tranquilla.  Ora tornatene a letto. Ci vediamo oggi dopo pranzo.

Da quando mamma si è operata al cuore la vado a trovare tutti i pomeriggi, alle 16.00, orario di visita. La mattina vado a scuola e pranzo sto da Zia Nini.
Quando mamma mi propose di stare a casa da solo accettai volentieri.
I pranzi da Zia Nini mi parvero invece  esagerati. Ero già in grado di cucinarmi da solo, anzi avevo anche cominciato a pensare al pranzo di mamma quando tornava dall'ufficio,  gestire i miei di pranzi, e i miei solamente, non mi spaventava.
Silvia, come ho detto, era da Zia Clara e mi odierà per avere casa tutta per me.

In realtà quella casa grande mi risulterà terribilmente vuota la sera quando i miei amici etero, che mi faranno compagnia durante il pomeriggio, tornano a cena dalle loro mamme che altrimenti si straniscono...

Acconsento ad andare a pranzo da zia Nini per far stare tranquilla mamma, ma, spiego a mia zia che io alle 14.00 devo guardare Capitol, una soap americana che seguo già da diverso tempo. Zia se ne adonta. Così mi costringi ad apparecchiare in camera da pranzo. In cucina non ho la tv...

Dopo nemmeno una settimana è una fan sfegatata e mi sollecita a raggiungerla a tavola  Ale, sbrigati, che inizia Capitol.

Appena arrivo a casa di Zia, direttamente da scuola (Zia abitava vicino casa mia, una fermata di autobus più in là) prima di pranzare telefono sempre a Fabrizio per metterci d'accordo per il pomeriggio.

Di solito mi viene a prendere sotto casa di zia alle 15.00, ce ne andiamo a fare un giro in macchina, alle 16.00 sono da mamma e alle 17.30 a casa, dove faccio i compiti come ogni altro studente.

Mamma doveva restare in ospedale poco più di due settimane.
Ci rimarrà 40 giorni a causa di complicazioni post operatorie.
In quei 40 giorni io vivrò praticamente da solo, senza mia sorella tra le palle, riuscendo a gestire quella casa grande come un casalingo provetto.

Saranno prove generali per le estati a venire, quando mia madre e mia sorella andranno in vacanza da sole e io rimarrò a Roma, raggiungendole (il meno possibile) nei fine settimana.  

Oltre a viaggiare spostandomi in altre città ho viaggiato anche restando in casa da solo.

Il periodo dell'operazione di mamma feci una festa che non finiva mai.
La chiamai Megaminica.
Chi voleva venire da me chiamava e veniva. Si cenava insieme, si guardava la tv. Si parlava, molto, di tutto, arte, cinema, politica, femminismo, filosofia, storia. Si ascoltava musica, si fumava anche qualche canna. Uscivamo giusto per andare al cinema.

Per il Live Aid bivaccammo in otto, io, Fabrizio, Guido, suo fratello Pierpaolo, l'altro Fabrizio, suo fratello Lello, il loro amico Stefano e Roberto, fino all'alba. I miei amici etero che di amici gay ancora non ne avevo.

Non dimenticherò mai alle 6 del mattino, io sul divano, Fabrizio addormentato, riverso su di me, quando Patty Labelle, davanti uno stadio ricolmo di quasi un milione di persone, poggia il microfono sul palco e urla volendo farsi sentire da tutti e tutte con la sola potenza dei suoi polmoni.

Quattro anni più tardi.

Stavo a Bruxelles ormai da più di un mese.

Una sera chiamo mia madre che non sentivo da una decina di giorni.
- Ciao ma'. 
- Ale dove vai a dormire? Io credo mi stia chiedendo dove alloggerò a Venezia, durante il festival del cinema, al quale andrò direttamente da Bruxelles, un paio di giorni dopo e le rispondo, starò all'albergo Astoria, appena arrivo ti chiamo e ti dò il numero di stanza.

- No, no, fa lei, dove dormirai a Roma?

Mi spiega, con la voce da vera sfollata, che il palazzo di casa nostra, l'ala proprio dove c'è il nostro appartamento,  è stata dichiarata inagibile perché stanno cedendo le fondamenta e mamma e Silvia e Buio sono state spostate al centro residenziale del comune Le torri, a Magliana, vicino al futuro cinema Warner.
E che siccome io non ci sono hanno dato loro un appartamento con solo due stanze e che spazio per me non ce n'è.
A me viene in mente che grazie al mio conto in banca ho una assicurazione che proprio in un caso improbabile come questo mi permette di chiedere un rientro di emergenza a Roma, del tutto gratuito.

- Ma' se vuoi posso essere lì fra qualche ora.

Lei mi ringrazia ma mi dice, più tranquilla, che è meglio di no perché non saprebbe dove mettermi.

Poi torna piagnucolosa e mi chiede, si chiede, dove andrai a dormire?

Io divertito da questa sua preoccupazione zelante le dico ma' tu preoccupati di dove dormi tu che io fino al 15 di Settembre ho l'albergo a Venezia. Poi quando rientro a Roma qualcosa trovo.

Starò tre mesi a casa di Pasquale, finché, prima di Natale, a consolidamento delle fondamenta fatto, non ci permetteranno di rientrare.

Era il 1989, l'anno della polmonite atipica e del capodanno con collasso e Silvia che ballava il cha-cha-cha (come nei film che alternano scene di miseria a divertimenti sfrenati).

In quei tre mesi darò Storia della letteratura italiana II, Inglese e la seconda annualità di Cinema. In più  intervisterò Peter Greenaway, da solo, senza interprete, a villa Medici. Una intervista fiume di due ore, alla fine della quale sono stanco io non lui.
Con Greenaway nacque un'amicizia. Io avevo visto The Cook, the Thief, His Wife and Her Lover a Venezia, due volte. Avrei già voluto intervistarlo a Venezia, impresa difficile, sapevo che sarebbe venuto a Roma in Ottobre e quindi aspettai.
A Roma rividi il film all'anteprima stampa, dove gli chiesi un'intervista, rividi il film il pomeriggio alla prima proiezione per il pubblico e poi la sera del giorno dopo al cinema Gioiello, con uno schermo ridicolo per quanto era piccolo. A quella terza proiezione c'ero andato con Frances.
Quando Greenaway mi rivide per la terza volta reagì con meraviglia, e fece una faccia come per dire Ancora?!? Io allargai le braccia come per dire che ci posso fare?
Il giorno dopo, si siede a uno dei tavolini allestiti nel cortile della villa. Al tavolo si erano aggiunti un ragazzo e una ragazza, di altre testate. Parlammo in inglese, senza interprete.
Quando Greenaway si siede ci chiede se preferivamo parlare solamente del film in uscita o di tutto il suo lavoro. Di tutto naturalmente, rispondo io.
Iniziamo così a parlare del suo lavoro, dei suoi film, dei suoi cortometraggi. Di pittura, del nudo maschile dei suoi film.
Quando cita un suo film ci chiede se lo avessimo visto e ogni volta solamente io rispondevo di sì, il ragazzo e la ragazza dicevano sempre no.
Alla fine dell'intervista Greenaway mi lascerà il numero di telefono del suo studio invitandomi a chiamarlo la prima volta che sarei andato a Londra...

Due anni dopo quando tornerà a Roma per il festival UK Today, io sarò l'unico a cui concederà un'intervista.

Due anni prima, appena arrivato a Parigi, in treno, da Roma, con Frances, mentre siamo ancora per strada, con la valigia appresso, cercando di raggiungere la casa dove alloggeremo gratis grazie a degli amici di Fernando, penso bene di chiamare mamma per togliermi l'incombenza di avvertirla che sono arrivato.
Lei appena mi sente non mi chiede com'è andato il viaggio, o com'è Parigi, o se sono stanco, se sono contento, mi chiede subito Quando torni?
Io devo ancora prendere possesso della casa e quella già vuole che torni...
E già mi innervosisco. Frances ride sotto in baffi che non ha.

Non avevamo ancora fatto il biglietto di ritorno, avremmo deciso il rientro quando finivamo i soldi. Era il 28 Luglio, rientreremo i primi di settembre.





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