Tina, Zaffino e le condoglianze.
Negli anni '70, il Ministero dei Trasporti dove lavorava mamma era una sorta di enorme mall.
Dentro le sue mura c'erano due banche, un supermercato a prezzi ridotti, quattro bar e un ambulatorio della mutua che aveva tutte le specializzazioni, compresa quella odontoiatrica, il dottor Zaffino.
Immaginatevi mia madre e me nel sotterranei dell'ambulatorio, mentre aspettiamo che Zaffino ci riceva lungo un corridoio trasformato in sala d'attesa.
Il corridoio è trafficato e mamma quando incontra colleghe e superiori si alza e saluta.
Io leggo.
Un libro di divulgazione scientifica.
Non leggevo romanzi ancora. Il primo lo leggerò al liceo, quando ci sarò costretto, quasi.
Back then reputavo i romanzi una perdita di tempo perché ritenevo che dentro quei libri non c'era forma alcuna di conoscenza e a me leggere i fronzoli letterari mi sembrava un inutile trastullo.
In realtà c'era già stato un romanzo, di fantascienza, di Kurt Vonnegut: Distruggete le macchine che mi era stato regalato da alcuni compagni di scuola in terza media.
Quel regalo mi aveva deluso e offeso.
Deluso per la mia radicale fictionclasia che mi faceva considerare quel libro dalla sopraccoperta dorata un mattone di cemento, privo di contenuto.
Offeso perché l'idea che siccome mi piaceva l'astronomia dovesse piacermi anche la fantascienza per me era un po' come quando scambiavano l'astrofilia con l'astrologia.
- Sono Astrofilo
- UUUH bello poi mi fai l'oroscopo?
Dov'è la lupara quando serve?
Invece Distruggete le macchine il primo romanzo di Vonnegut, pubblicato nel 1952, si rivela una lettura anche piacevole imbastendo una critica interessante alla meccanizzazione disumanizzante.
Naturalmente io a 12 anni ero a favore delle macchine e consideravo i rivoluzionari luddisti del romanzo dei pericolosi reazionari. Ma che pretendete da un ragazzino a digiuno di narrativa?
Di Vonnegut vi consiglio Il grande tiratore, Cronosisma, Le sirene di Titano e Galapagos, pubblicati tutti da Bompiani o Feltrinelli.
Distruggete le macchine, introvabile nell'edizione originale italiana della Editrice Nord del 1979, è stato ripubblicato da Feltrinelli col titolo Piano meccanico (il titolo originale è Player Piano).
Poi nel corridoio-sala d'attesa passa Tina, una collega di mamma che mi sta molto simpatica.
Anziana, quasi nell'età di pensione, siciliana come noi, Tina è una signorina, come ancora si usava dire negli anni '70.
Non si era sposata né aveva un compagno, amante, né amico, per usare il lessico materno.
Un altro pezzetto di Ginecrazia che, così smaritata, mi stava simpatica perché dimostrava che senza uomo si vive benissimo.
Tina va di fretta e non si ferma, e mentre costeggia le nostre sedie si limita a rallentare il passo per salutarci.
-Ciao Mirella.
Alessandro come va la scuola?
-Domanda di riserva?
-Chi aspettate?
-Zaffino.
-Io ci vado domani.
-Anche lei? Condoglianze!
Tina ride e già ci supera.
Mamma mi guarda come ne avessi appena fatta una puzzolente.
Poi inizia la filippica:
Ma che t'è saltato in mente? Dirle condoglianze? Quella è sicula! E' permalosa! Se poi si offende!? Poi me la ritrovo io in ufficio, mica tu! Ma che c'entra condoglianze poi?! Non è morto mica nessuno!
La simpatia per Tina mi aveva reso disinvolto e avevo provato a fare il simpatico.
I commenti di mia madre mi fecero venire mille dubbi e la disinvoltura di un secondo prima si frantumò in un'aura di pentimento sgretolata e tagliente.
E' tanto l'imbarazzo che non riesco nemmeno a spiegarle il perché e il per come della parola condoglianze. D'altronde non c'è niente di peggio che spiegare una battuta non capita. E poi sono un poco permalosa anche io come Tina.
Sapete, noi sicule...
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