Romina, con moderazione
Quando Silvia era ancora in fasce, nell'estate del 1970, io e la Ginecrazia andammo in vacanza a Nervi, un quartiere residenziale di Genova, alla casa delle vacanze del fratello di papà.
Non ricordo la presenza di nonna con noi ma non può essere altrimenti. Mentre io e mamma andavano in giro per le vie di Nervi Silvia doveva stare a casa con nonna... ecco perché non me la ricordo. Ho anche qualche foto, di quella vacanza.
Un giorno che con mamma andiamo a passeggiare per il porto di Genova, io alla vista delle grosse navi ancorate al molo, mosso dall'entusiasmo di vedere un pezzo di tecnologia mai nemmeno immaginato (quant'erano grandi!!!) grido mamma mamma guarda quanto sono grossi i culi delle navi!
Mia madre si imbarazza tutta. No, non della mia evidente culofilia ma perché ho usato la parola culo.
Così invece di correggermi e dirmi che i culi delle navi si chiamano poppe mi sgrida Non dire quella parola ad alta voce!
Un rimprovero che tradisce più preoccupazione e imbarazzo che fastidio.
Io non capisco cosa ci sia di male nella parola culo o, aggiungo oggi, nel culo in sé.
Qualche tempo fa ho avuto una discussione online, credo su Facebook, con un sedicente psicologo al quale facevo notare che la stimolazione anale può piacere anche ai maschi etero e non esclusivamente a quelli gay.
E lui che non voleva proprio capire questa considerazione che nasce dal buonsenso (se pensate anche voi che se a un uomo gli piace un dito nell'ano da parte della sua ragazza in fondo in fondo è un po' gay siete omofobe e omofobi anche voi) lo psicologo sedicente, dicevo, si riferisce al culo come a un organo sessuale...
Non ditemi che lo è anche per voi... In realtà il culo è una zona esogena ma è la parte terminale dell'apparato digerente.
Sul culo e su come liberarci tutte e tutti da due millenni di patriarcato vi consiglio il libro di Jack Morin Il piacere negato Editori Riuniti 1994.
Sono un po' stronzo a consigliarvelo perché il libro è fuori catalogo già da un bel pezzo, però potete cercarlo in biblioteca o su Ebay...
Durante le nostre passeggiate per le strade di Nervi io e mamma ci imbattiamo in una corsa di automobili per bambini, organizzata dall'Aci.
Io quando passa l'automobile mini con dentro un bambino fortunatissimo, faccio il gesto inconsulto di volerla afferrare come fosse una macchinina giocattolo e non una automobile di dimensioni ridotte ma vera, con tanto di motore scoppio.
Ci sono solo maschi assiepati intorno al circuito di corsa, nessuna donna.
E molto maschili, cioè prepotenti e superficiali, mi paiono le considerazioni critiche nei confronti del mio gesto inconsulto.
Io me ne vergogno perché lascio trapelare un desiderio che non può essere esaudito e questo mi espone da un lato alla frustrazione per il desiderio disatteso e dall'altro alla vulnerabilità di aprire il proprio cuore dei desideri al mondo.
Io ho 5 anni eppure queste emozioni sono già chiare in me.
Un signore vestito da vigile, che fa parte della gara, vuole multarmi per quel mio gesto inconsulto che secondo lui viola il codice della strada.
Quando sento parlare di multa mi prende un colpo perché so che non bisogna spendere soldi ma vedo che mamma parla col vigile e la cosa finisce lì.
Per me ogni desiderio è una richiesta per questo sto sempre molto attento ad esprimerne.
Credo di averlo imparato a cinque anni, mentre nonna era in ospedale per un incidente brutto e strano (sbattè per sbaglio il termometro col quale doveva misurarmi la febbre sulla ringhiera metallica del mio letto, il termometro esplose e alcuni frammenti di vetro le entrarono nella vena del polso...).
Mentre nonna viene ricoverata in ospedale, io e mia sorella, entrambi a letto con la febbre, siamo accuditi da zia Lilla, una vicina di casa talmente presente e solidale da considerarla famiglia.
Mentre attendo la pasta a letto spero che zia Lilla mi porti le pennette che mi ha portato il giorno prima.
Quando vedo arrivarmi un altro tipo di pasta dico ad alta voce ah non è la pasta di ieri, così per dar voce alla delusione.
Zia Lilla senza arrabbiarsi si porta via il vassoio e mi rifà le pennette. Mi sentii una merda. La mia delusione non aveva conseguenze concrete. Anche la pasta che mi aveva portato andava bene. Mi ero solo permesso di dar voce a una delusione.
Però mi faceva piacere che zia Lilla prendesse sul serio le mie esigenze, a differenza di mamma che era sempre molto impaziente dei miei capricci.
Ci rimasi male perché sentivo di aver sprecato, usato male, la mia possibilità di indurre un'adulta a fare una cosa che desideravo io per una faccenda tutto sommato marginale come il tipo di pasta.
Non ero abituato a essere preso sul serio come bambino.
Ogni volta che qualcuna lo faceva provavo imbarazzo misto a onnipotenza.
Quando chiesi a mia cugina Giuliana, una bellissima ragazzona piena di efelidi, di farmi vedere il culo e lei mi dice va bene e mi porta in bagno e si cala i pantaloni e mi fa vedere due magnifiche chiappe piene di efelidi io sono lì in estasi...
Avrò avuto sei anni, lei una ventina...
La casa di zio Salvatore ha un giardino immenso, su più livelli. Almeno così lo ricordo io, la foto ridimensiona di molto la mia percezione spaziale di allora.
C'è una gradinata immensa (come sopra) che porta a un bastione che costeggia tutto il lato sud del giardino.
Io ci salgo e mi pongo in cima alla scalinata, le mani sui fianchi e dico a mamma Guarda mamma come Romina Power!
Non ho più memoria della contingenza del riferimento televisivo che però deve essere chiaro perché mamma lo capisce.
Mi fai una foto come fossi Romina Power che scende la scalinata? le chiedo.
Lei acconsente.
Mi preparo per scendere le scale e mettermi in posa ad ogni gradino. Ma mamma mi fa solo una foto e fa per andarsene.
Io le dico No mamma fammi le foto per tutta la scalinata, mentre scendo...
E mia madre cosa mi risponde?
Le foto costano!
Mi avrebbe potuto spiegare che sarebbero uscite tante foto uguali e che non valeva la pena. O forse avrebbe potuto fare finta di farmi una ripresa cinematografica, io, precocissima Norma Desmond pronta per il suo primo (e non ultimo) Close-up.
Ricordo perfettamente il mio pudore nel rivelare a mamma che mi identificavo con Romina Power.
Io non ci trovavo niente di male, ma avevo paura che lei, o chiunque altro, potesse prendermi in giro, oppure pensare che siccome mi piaceva impersonare una femmina, allora ero una femmina anche io.
Non avevo problemi a fare la femmina a patto che questa performance non comportasse la mia rinuncia alla maschilità.
Non posso "fare la femmina" e rimanere maschio?
Probabilmente credo che se nella nostra cultura televisiva avessero proposto anche un modello di grazia maschile che scende le scale con eleganza cantando io non avrei avuto bisogno di emulare Romina Power.
C'era Enzo Paolo Turci ma io sono sempre stato una pippa nella danza...
Gli altri modelli maschili erano Sandokan o Zorro, ma io non volevo armeggiare spade né sciabole, io volevo cantare!
Rimasi deluso che mia madre non si prestò a farmi il servizio fotografico che micro immaginato, sarei stato una magnifica Romina che scende le scale.
Invece mi aveva concesso solamente uno scatto fotografico.
Romina sì, ma con moderazione!
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