Attenzione, work in Progress!
Rileggete i post che avete già letto. Li potreste trovare modificati.

Visualizzazioni totali

La ragazzina dei glutei


Che mi piacciono i ragazzi  l'ho saputo da sempre.

Perché a me piacciono i ragazzi non gli uomini.

Crescendo l'età massima si è man mano innalzata  ma non vado ancora oltre i trentacinque anni.

Poi ci sono le eccezioni.

So che mi piacciono i ragazzi già prima di averne memoria.

No, non è una di quelle sciocchezze, suggestive ma sempre sciocchezze, da psicanalisi new age stile memoria intrauterina.

(Immaginate diverse riprese cinematografiche di me che rido a crepapelle. In primo piano.  Le rughe che si formano all'angolo degli occhi quando rido. Il dettaglio della bocca mentre rido in primissimo piano. Un totale di me alla scrivania mentre sono scosso dalle risate. Il dettaglio della pancia che si muove mentre rido. Ecco ora ne avete un'idea anche voi).

Lo so da prima di averne memoria perché fu mia madre a raccontarmi di come, all'età di 4 anni, tornato dall'asilo, le chiesi a bruciapelo perché quando vedevo il culetto dei ragazzini mi si muoveva la piciolla.
Almeno così mi raccontò mamma, io non ne ho memoria.

Piciolla era il nome che in casa davamo al cazzo.

Borzopiciolla, in casa non ci facevamo mancare nulla...

Alle elementari optai per un più comprensibile pisello.
Non credo avrei altrimenti ricevuto un sì da Paolo, il primo ragazzino col quale abbia mai fatto qualcosa di sessuale, verso i 9 anni,  se invece di proporgli, come feci, ci baciamo il pisello? gli avessi chiesto ci baciamo la piciolla? 
Potenza del lessico.

Quando mia madre mi sentì parlare di culetti maschili mi portò di corsa dal dottore il quale la rassicurò dicendole che era solamente una fase. (Immaginate diverse riprese cinematografiche di me che ri... ah no già lo avete immaginato. Beh ri-immaginatelo!).

Mi sono sempre chiesto in che modo mamma si sia vissuta quell'informazione sbagliata che il dottore le aveva dato: se come un errore medico o un errore mio...

Il mio interesse per il culetto non conosceva però confini di genere.
Quando ancora i miei non erano separati, prima del concepimento di mia sorella, abitavamo al secondo piano di uno stabile in via Revoltella.
All'appartamento al piano terra abitava una ragazzina con la quale avevo attaccato bottone, non so come.

Io all'epoca ero un po' lento, nel senso letterale del termine.
Mi muovevo lentamente, tant'è che quando mangiavo il gelato mi finiva sulla mano, sull'avambraccio e sul gomito per la lentezza con cui leccavo (non abbiate malizia).

Credo che quella lentezza nascesse da una connaturata cautela, ingenerata a sua volta da una timidezza che mi faceva dubitare di tutto e tenere i miei desideri inespressi e inesplorati. E quando ti trattieni ti irrigidisci e perdi in scioglievolezza.

Ignoro come feci ad attaccar bottone con questa ragazzina che, nonostante il carattere sveglio e una magnifica presenza a se stessa, lasciava fossi io a guidare il gioco.
Ero io cioè a dirle come e quando mostrarmi il suo sedere.
Io la guardavo dal balcone del secondo piano e lei dal giardino di casa. Protetta dagli occhi indiscreti della strada (ma non degli altri appartamenti)  le  bastava sollevare la gonna e calarsi le mutandine per mostrarmi i glutei, con mia grande confusione, e fare il contrario per ripristinare il suo ordine nel vestiario.

Io, che portavo dei pantaloncini corti da ometto con le bretelle, ero incapace di ripristinare il mio abbigliamento. Quindi dopo averle mostrato il mio di sedere (la reciprocità innanzi tutto) rientravo  in casa chiedendo a mamma di allacciarmi le bretelle, perché da solo non riuscivo.

Mia madre, mi racconterà, si insospettì (e come te sbagli!) di questo mio costante sganciamento  straccale e indagò sulle cause.
Quando scoprì  che mostravo il mio di sedere alla ragazzina del piano terra non disse niente e benedì il mio, il nostro, operato.

Quando mia madre mi racconterà di avermi spiato e di non essere intervenuta quando scoprì il mio interesse gluteale, culesco, bottomiano va', mi sentii usato.
Mamma era così felice di constatare come tralasciassi i culetti maschili dell'asilo - che evidentemente non potevo avere - per quelli femminili, che non aveva osato intervenire per non interferire sull'ordine appena riconquistato.

L'unica occasione in cui mia madre mi sostenne in vita mia tradiva un'agenda che poco aveva a che fare con il coltivare le mie propensioni e farle crescere sane e spensierate. Il suo sostegno, mosso tutt'altro che da una solidarietà materna, nasceva da una manipolazione insopportabile.

Il mio desiderio per il culetto della ragazzina era tutt'altro che un ripiego. Badate bene.

Questa dinamica paraetero di tanti giovani omosessuali (vorrei un maschio ma mi accontento di una femmina)  non mi è mai appartenuta.
L'ho sempre trovata una sciocchezza assurda, svilente e poco intelligente.
E questo vale per ogni surrogato, dall'orzo alla pelliccia sintetica.
Bisogna sempre avere almeno il coraggio delle proprie opinioni...

La mia curiosità per il gluteo è sempre stata pansessuale.

Sarà perché a differenza della piciolla e della patata (questa la si capisce di più) il culetto ce lo hanno maschi e femmine e a me sono sempre piaciuti i glutei, possibilmente tonici e muscolosi, poco importa che appartenessero al fondoschiena di una ragazza o di un ragazzo.

Il culo è il culo e ancora oggi mi verrebbe da chiedere di farmelo vedere ogni volta che incontro una persona che mi piace.

Ho diversi ricordi di quelle sessioni al balcone con la vicina del piano terra.
Frammenti di eccitazione e vergogna (non dovevamo farci scoprire). Rammarico per essere tornato fuori e dovermi risganciare le bretelle e dover poi tornare da mia madre per riallacciarmele, perché ero rientrato allora? O perché ero riuscito? (Eh lo so io perché ero riuscito...).
Ci sarebbe mai stato un passo successivo? E, soprattutto, qual era il passo successivo?

Nonostante già una volta sua madre avesse scoperto che ci mostravamo le chiappe a vicenda io e la ragazzina continuavamo imperterrite a spogliarci.
Una volta che mi stava mostrando tutto il sedere con la gonna sollevata sopra la vita, sua madre entrò all'improvviso in balcone per stendere i panni.
Lei era senza mutandine e ogni movimento l'avrebbe tradita.
Mi si gelò il sangue nelle venette e rimasi immobile. Sono lenta ricordate?
Lei invece non si perse d'animo e fece la novella vaga poggiandosi al muro della casa come fosse la posa più naturale del mondo.
L'ho amata in quel momento per la sua presenza di spirito che a me non sarebbe venuta in eoni.

Quando espressi il desiderio di conoscere la ragazzina  e di  giocare con lei (e basta 'co sta malizia!)  mia madre mi accompagnò a casa sua a chiederle di giocare con lei.
Ma la madre della ragazzina, che sapeva quel che avevamo fatto, si rifiutò categoricamente dicendo che sua figlia  (non ricordo il nome purtroppo) doveva studiare. 
Beh potevamo farlo insieme, no? 
Mia madre invece di perorare la mia causa mi riportò a casa nostra.

Io sentii in quel momento un ammanco totale della mia autorevolezza virile.
Sentii che la mia richiesta non era stata presa sul serio.
Mi pentii di essermi fatto accompagnare da mamma ma anche fossi riuscito a suonare il campanello della ragazzina da solo, poi sono sicuro non sarei riuscito a dire nulla. Mi anca il respiro anche se ci penso adesso: lei lì davanti alla porta, contenta di vedermi, chissà, e io che non riesco a parlare come in certi sogni quando l'ansia ti blocca il respiro e non puoi parlare nemmeno se ci provi.
La prima volta che esprimevo un desiderio in linea con quel che ci si aspetta da un maschietto non scatta nessuna standing ovation, nessuno si commuove, nessuna viene a portarmi un premio.
E come se non bastasse il mio desiderio viene rifiutato. Mi dissi che forse dovevo tornare ai culietti maschili perché come cacciatore di culetti femminili non ero credibile.
Già allora avevo scoperto che per sfuggire alla disperazione cocente di un rifiuto era più comodo trasformare il desiderio in velleità. Non avevo realizzato però l'effetto distruttivo per la mia autostima...

Invece di esprimere alla ragazzina, a sua madre, a mia madre, almeno una parte di tutto questo coacervo di sentimenti, risentimenti e delusioni,  non proferii parola.

D'altronde quella con la ragazzina era una comunicazione fatta di silenzi e sguardi e mosse del corpo (sarò stata lenta ma non ero morta). Non era previsto parlassimo...

Poi mamma rimase incinta di mia sorella, i miei si separarono, ci trasferimmo a casa di nonna e la ragazzina dei glutei fu persa per sempre.

Mi chiedo dove fosse papà in tutto questo bailamme di glutei infantili...

Chissà quali consigli mi avrebbe dato.
Chissà cosa sarebbe successo se mi avesse accompagnato lui a chiedere alla ragazzina di giocare insieme.
E se mi avesse riallacciato lui le bretelle me lo avrebbe fatto un discorso sulle ragazzine e sui loro glutei?

Come al solito, non lo saprò mai.



Commenti