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La mia ribadita opacità


L'ho già scritto. Quando sei giovane il problema col sesso non è farlo ma dove farlo.

E' stato così quando stavo con Paolo.

Non quello col quale ci facevamo gli auguri per la befana.
Non Paolino che mi nascondeva le sue uscite con Guendalino.
Non Paolo del pisello baciato e nemmeno Paolo Flusso del quale continuate a non sapere niente...

Questo Paolo, col quale sono stato fidanzato due volte, nel 1985 e nel 1987, faceva il ballerino, era molto bello e un po' effeminato.
Era amico di Barbara, una ragazza che da sola meriterebbe un film, un romanzo o una canzone e della quale vi parlerò presto, lo prometto.
Barbara ci vedeva bene insieme e aveva ragione! Ci siamo messi insieme la sera stessa che ci siamo conosciuti. Io avevo 20 anni lui 16.

Eravamo entrambi ancora al liceo.
Facevamo l'amore dove potevamo. A casa di Patrick. A casa di Sandro. A casa di Pasquale e a casa mia, quando non 'era nessuno.
Fu il primo sesso penetrativo ricettivo che praticavo dai tempi di Andrea.

E' strano come le occasioni di avere casa libera che avevo quando ero più piccolo, con Andrea, ma anche con Graziano e Marco, dopo la morte di nonna si ridussero di molto...

Insomma.

Un giorno che pensavo di avere casa libera, appena mamma esce, Paolo arriva.
Non ho calcolato bene l'incognita Silvia, che ha un'agenda sua ed esce e rientra come le pare.
Non ci sorprende col sorcio in bocca, no. Però mi sorprende con Paolo mentre io le avevo detto che ero solo.
Così, dopo averci rotto le uova nel paniere, quando Paolo se ne va, mi chiede perché volevo rimanere da solo con lui.

Se mia sorella me lo avesse chiesto oggi non avrei avuto nessuna remora a dirle per scopare. O per fare l'amore. O...

Ma a 21 anni sono una checchina in erba tanto timida e mi vergogno di svelare a mia sorella i miei sotterfugi per scopare.

Non ho pudore perché Paolo è una ragazzo.
Ho pudore per il sesso.
Ho pudore di mostrare che agisco il sesso a mia sorella. Che mi sto contorcendo come un fachiro per ritagliarmi uno spazio per una scopatina.

A Lei che ha già una collezione di ragazzi, tutti bellissimi, coi quali non so cosa fa, ma fa.

Trovo umiliante che mia sorella mi chieda d'onde di Paolo.
Trovo  umiliante che basisca così tanto che io voglia restare da solo con un ragazzo.
Come se a fare due più due ci voglia una laurea in astrofisica relativistica.
Come se per lei la possibilità non esista proprio.
E poi, magari, anche, visto che lei non mi racconta più niente, che non c'è proprio confidenza da un po' una strapadellata di cazzi suoi potrebbe anche farsela, no?

Invece lei mi chiede severa perché voglio restare da solo con Paolo e io non riesco a spiccicare parola. Nemmeno per dirle fatti i cazzi tuoi.

Lo so, la mia terapeuta, e non solo lei, potrebbe farmi notare che è legittimo non contemplare l'opzione gaia e chiedere perché volevo restare solo con Paolo.

Quello che questo qualcuno o questa qualcuna non coglie è la comodità da cui mia sorella mi fa la sua domanda.
La distanza da cui pone la sua normalità per osservare la mia stranezza.

Possibile che dinanzi quel mistero non si sia data nessuna risposta?
Perché  non propormi allora le sue conclusioni, sommarie e provvisorie, come a dirmi "io ho pensato questo? Quanto ci sono andata vicino?".
Perché non rischiare la figuraccia con una ipotesi azzardata?

Perché è molto più comodo lasciare solamente a me tutto il peso della spiegazione di una cosa percepita e restituita misteriosa, strana, incomprensibile.
Come strano e incomprensibile evidentemente sono io.

Le cose strane non hanno nemmeno la facilità di previsione. L'onere della spiegazione è tutto a carico della persona strana che così non gode nemmeno del beneficio della plausibilità.

Si gioca alla cieca, senza sottintesi.

Come se mia sorella non mi conoscesse.
Come fosse la prima volta che rimango da solo con un ragazzo.
Come non la avessi già usata come amica di scambio per la sorella di Andrea appena 5 anni prima. (Lei e Antonella a casa di Andrea io e Andrea a casa nostra).
Come se non avesse mai avuto sospetti o indizi prima.
E se fosse così, se non si è mai accorta di niente e se ne accorge adessoper la prima volta, perché nascondermi la sorpresa, la curiosità, l'incomprensione?
Perché celarmi la malizia del sospetto?
Perché lei era severa, non sorpresa, o curiosa, né colta dall'incomprensione.

Quel suo inquisire senza avere cognizione di causa è l'attestazione di una prepotenza da orientamento sessuale alla quale mia sorella è rimasta fedele ancora oggi quando mi accusa di parlare sempre di gay mentre lei crede di non parlare mai di etero.

E' un altro modo per ribadire, ristabilire, rimarcare, l'opacità del desiderio omoerotico. Se non me lo dici tu io non lo vedo, non lo riconosco (i entrambi i significati, non lo vedo e non gli do dignità alcuna).
L'onere (il dovere!) di esser detto spetta sempre e solo al frocio e non a sua sorella, che non cerca di rendergli minimamente meno difficile il dirlo. Che non si sforza di farlo sentire accolto, voluto e non appena appena tollerato.
Perché il frocio è lui mica lei.

Sono meccanismi di potere, di manipolazione, di discriminazione, di pregiudizio,  che non possono essere sottaciuti o negati o giustificati.

E non perché mia sorella è stronza.

Ma per la sua mancanza di gentilezza.

Perché se una presunta differenza ti mette in imbarazzo è più facile nasconderti dietro l'incomprensione che ammettere di essere in imbarazzo.

E' questa mancanza di franchezza che mi offende. Mia sorella si sta facendo i cazzi miei ma continua a farsi i cazzi suoi.
Non si confronta davvero con me. Si misura, a distanza di sicurezza. La sua.

La mia amica Alessandra, la prima volta che le venne il dubbio, mi chiese, con una apertura mentale della quale le sarò grato a vita, ma ti piacciono i ragazzi? Schietta, franca, dubbiosa, basita.  Eppure eravamo solamente colleghi di università.

E' vero, Alessandra aveva 20 anni quando me lo chiese, mia sorella ne aveva 16.

Ma quando le serviva mia sorella sapeva  farsi i cazzi suoi.

Tornava bambina ingenua quando le conveniva, come in questo caso che voleva starmi a guardare mentre affondavo, abbastanza vicina da godersi i particolari, là, al sicuro della sua penisola etero.


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