Il gelataio ad interim
C'è stato un tempo in cui io e mia madre navigavamo a vista.
Io ero in quell'età di mezzo, troppo grande per fare ancora l'adolescente, troppo piccolo per fare il giovane adulto.
Non ricordo quanti anni avessi. Tanto era una condizione mentale non anagrafica.
Ricordo che non avevo amori in quel periodo.
Amori per me faceva rima con dolori visto che mi impelagavo in storie non corrisposte.
Sarà stata la palestra sentimentale di Mina, le cui canzoni ti allevano alla solitudine malinconica piena di ricordi di cose che potevano essere, sarà che era più comodo impelagarmi in storie non consumabili altrimenti poi, oltre che fantasticarle, le storie mi toccava pure vivermele (questa è per te Anto).
Sarà che ero sfortunato. Sarà che Dea voleva così. Non so. So che ero zitella. Una zitella serena.
Anche mia madre era sola.
La storia con Luciano era finita e, per quel che ne so, ma potrebbero mancarmi dettagli fondamentali, per responsabilità sua, visto che aveva consumato la loro relazione in una assurda e inane gelosia per la figlia che Luciano aveva con la ex moglie. Mia madre non riusciva a distinguere l'una dall'altra e vedeva la moglie nella figlia e la figlia nella moglie con un sottile gusto incestuoso che, ora che ci penso, ho sempre trovato sublime, come quando assisti da un porto sicuro al naufragio di un migliaio di persone.
La solitudine di mia madre era precedente a Luciano e piuttosto esistenziale.
Era quella solitudine che si prova quando il tuo matrimonio fallisce.
Mamma si era separata da papà quando era ancora incinta di mia sorella. Non era stata una sua decisione. Diciamo solo che non aveva potuto fare altrimenti.
Quando finisce un matrimonio senti la sconfitta cocente e ti incolpi di non esserti saputa tenere tuo marito.
Quando finisce un matrimonio non finisce solamente la storia con tuo marito o tua moglie. No.
Si spezza tutta una rete di relazioni sociali.
Non lo si può davvero capire se non lo si è vissuto.
Io l'ho vissuto.
La fine della mia storia con Daniele, 7 anni insieme, di cui due e mezzo di convivenza, fidanzati in casa, con sua madre che ci portava la colazione a è stata la fine del mio di matrimonio.
Anche io non ho perso solo Daniele ma anche i suoceri ai quali voglio ancora oggi un bene dell'anima ma che non sono stato capace di continuare a frequentare perché non riuscivo a vederli senza pensare a lui.
Non posso dire, allora, che capivo la condizione di mia madre, né, tantomeno, che ne vedessi le analogie con la mia.
Solo oggi vedo quanto le nostre vite avessero di comune in quel momento.
Allora ne ero totalmente ignaro e infatti non capivo come mai io e mia madre ci trovassimo insieme, silenziose e meste, ognuna assorta nella malinconia della propria mancanza di un uomo.
Eravamo due barche sorprese dalla stessa bonaccia che si incontravano per caso, senza nessuna vera intenzione di conoscersi.
Eravamo tranquille perché quella vicinanza non implicava nessun obbligo di dialogo o di confidenze, era una vicinanza dettata da circostanze esterne.
E la bonaccia non poteva durare per sempre no?
Dunque eccoci lì camminare placidamente, senza alcuna fretta, uscite da una cena finita troppo presto. Devono essere un quarto alle 10, troppo presto per tornare a casa.
Nessuna delle due pensa a un cinema o a una passeggiata in centro.
Les endroits di Monteverde Nuovo sono già un magnifico cambio di routine per entrambe perché l'insoddisfazione ci spinga a cercare altrove.
Siamo sempre state due persone low-maintenance mia madre e io.
Contente di essere nella via principale del quartiere mentre navighiamo a vista.
Ti va un gelato? le chiedo di punto in bianco e, senza aspettare una sua risposta, mi dirigo alla gelateria meno famosa, quella senza fila (nell'altra a quell'ora di una sera di Giugno dovremmo attendere almeno 20 minuti).
Nel locale, prima della gelateria, c'era un negozio di giocattoli, al quale ho lasciato tante paghette per comperare binari del mio trenino Lima.
La commessa non controllava mai se nella confezione ce ne fosse uno o due e visto che pagavi per binario e non per confezione, spesso mi portavo a casa due binari al prezzo di uno.
Quando il negozio chiuse avevo temuto fosse stato a causa dei binari che non avevo pagato.
La gelateria è deserta quando entro, seguito da mia madre.
Dentro, dietro il bancone, c'è un ragazzo, abbronzato e tonico, il capello nero e corto, gli occhi di chi sta lì per caso e non è certo destinato a fare il gelataio a vita.
Lo saluto con un ciao perfettamente disinvolto. Non me ne sorprendo perché è da quando siamo uscite di casa che va tutto liscio, nessun attrito tra me e mia madre, nessuna mia improvvisa timidezza per una parola detta o non detta, per un gesto anticipato o troppo goffo o mancato.
Lui mi sorride e ricambia il ciao con gentilezza e un pizzico di seduzione.
E' davvero un bel ragazzo e non fossi la checchina sprovveduta che ero allora gli avrei chiesto a che ora chiudeva e se voleva fare un giro, dopo.
Però non gli scollo gli occhi di dosso e lui sostiene il mio sguardo né particolarmente infastidito né troppo interessato; incuriosito, forse.
Quando mi porge il cono le nostre dita si sfiorano e va bene così. Io porgo il cono a mia madre, le do un paio di fazzoletti di carta, poi con calma prendo il mio cono e le nostre dita si sfiorano di nuovo. Stavolta non può essere per caso.
Non ci giurerei ma il gelataio ad interim sembra divertito dalla situazione.
Mi succede spesso coi bei ragazzi.
Si divertono della mia fantasticheria di provarci con loro, ma non ho mai il coraggio poi di provarci veramente.
E se poi mi dicono di no?
Solo ora comprendo che allora avrei avuto ancora più paura di un sì...
Una volta, avrò avuto dodici anni, stavo mangiando il mio cono, quando mi accorsi di due ragazzi un po' ceffi sui 16 17 anni che sconvolsero il mio equilibrio ormonale. Incapace di reagire me ne rimanevo lì fermo, a desiderarli e leccare il mio cono.
Convinto di essere invisibile al loro sguardo, perché nella mia mente ormonata contavano solamente gli sguardi di desiderio ricevuti e non quelli dati, non solo mi notano ma uno dei due dice all'altro oh guarda quello come lecca il gelato...
Giuro, mi è successo davvero.
Me ne andai turbato, come se avessimo paragonato i nostri cazzi e il mio fosse stato davvero piccolo.
Non mi sentivo all'altezza dei miei desideri e non riuscivo ad adeguarmici o a lasciarli andare.
Quella sera con mia madre, in pieno stato di grazia, flirto col gelataio come fosse la cosa più normale del mondo. Gli chiedo se si annoia, se è normale ci sia così poca gente, fino a che ora sta aperto (ma allora vedi che glielo avevo chiesto...) lui mi dà spago, divertito.
D'altronde per lui io sono il diversivo di una serata altrimenti vuota e solitaria.
Mia madre attende in silenzio, timida come di solito sono io.
Poi, col gelato quasi finito, ci avviamo verso l'uscita, Faccio prima passare mamma, e prima di uscire a mia volta saluto il gelataio augurandogli buon lavoro.
Mia madre, meravigliata di tanta mia disinvoltura, mi chiede un poi interdetta ma... lo conosci? Io la guardo e divertito che lei proprio non si sia accorta che io abbia flirtato col gelataio, le rispondo con un serafico no. E ce ne torniamo a casa.
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