E’ la ginecrazia baby!!
Sono stato cresciuto mia madre e mia nonna. Due donne.
Da quando i miei si sono separati avevamo lasciato la casa di via Revoltella ed eravamo riparate io e mamma, che era incita di mia sorella, in casa di nonna, a Monteverde nuovo.
In quella casa, che è stata la mia vera home (ho pochi ricordi di via Rivoltella) sono cresciuto in esclusiva presenza femminile, anche quel furetto gattonante che era mia sorella Silvia i primi anni.
Non ho mai dubitato dell'autorità femminile, della sua piena, concreta, autorevole equipollenza a quella maschile.
Un'autorità basata su dinamiche di potere altre dove la violenza fisica era assente, e quella verbale non era mai gratuita come quella maschile, che conoscevo abbastanza bene osservandola nel mondo di fuori.
Avevo sperimentato subito i rischi che la ginecrazia corre in un mondo di maschi fatto per i maschi.
Maschi che non annoveravano ancora la possibilità che in una famiglia, per esempio la mia, non ci sia un papà a portare lo stipendio a casa, ma una mamma e che tutto il potere decisionale spetta a lei. Ogni volta che si presentava l'equivoco io mi sentivo sempre di doverlo chiarire per non sentirmi mis-rappresentato. Lo so mis è un prefisso inglese, vi dovete abituare.
Io vivevo tra donne, erano loro la mia famiglia, la mia costellazione di riferimento, la mia mitologia e non vedevo perché non dovessi farlo presente e glissare sul maschilismo imperante.
Oltre a mia madre, mia nonna e mia sorella, questa ginecrazia era alimentata da alcune presenze satellitari, le sorelle di mia madre, le altre figlie di mia nonna, che venivano a trovare la madre dalla quale viveva la figlia sfigata che aveva perso la sua famiglia.
Avevo abbastanza esperienza personale della prepotenza e dell'essenza bovina dei maschi, tutti i maschi, quelli che guardavo negli spogliatoi delle medie, quelli che vedevo nei negozi, quelli di cui ascoltavo il comportamento quando le mie zie venivano a confidarsi con mia nonna, loro madre, fossero i loro marito o i loro figli.
Non ho mai sentito la mancanza di una figura maschile, di un padre o un altro maschio che ne
facesse le veci. Presente lui, l’autorità femminile sarebbe subito stata esautorata, considerata un ostacolo da eliminare.
Io non provavo nessuna solidarietà di genere e non avrei avuto remore nello schierarmi con le donne.
La mia solidarietà femminile non era fatta per cavalleria, al contrario, era dettata da una scelta di schieramento senza ombre, senza dubbi, necessario come la scelta di votare partito Comunista appena compiuti 18 anni.
Reputavo però inane il mio schieramento e inutile la mia difesa, dato che ero ancora ragazzino e non avrei saputo come farmi ascoltare.
In questa ginecrazia ogni donna aveva un ruolo definito e insostituibile.
Mamma era la titolare ma era troppo in balia delle sue emozioni per essere una capa efficace.
Mamma sentiva la mia maschilità come una minaccia alla sua autorità, scambiava la mia verve polemica per una autoritaria prepotenza di genere che avrei esercitato su di lei e cercava sempre di smontarmi con questo grimaldello.
Quando le facevo notare la falla logica del suo pensiero lei invece di prendermi in considerazione, magari per scartare le mie argomentazioni dove averle ponderate, non si peritava nemmeno di cercare di capirle e le liquidava come i sofismi di uno strano ragionare, da maschio, e ahimè, da maschio come papà, cioè un maschio fallato.
La sua vita di donna tra gli uomini era già abbastanza faticosa perché dovesse sopportare quel mocciosetto presuntuosetto petulante di suo figlio.
Come HAL che cerca di impedire inutilmente ad Adam di escludere la sua memoria io mi sentivo terrorizzato dall'intenzione di mia madre di disinnescare così ogni mia osservazione critica.
Però, a differenza di HAL, non ho mai avuto il coraggio di dirle mamma, ho paura, la mia mente se ne va.
Gli effetti devastanti sulla mia autostima ancor mi offendono soprattutto perché, allora, non me ne rendevo conto e pensavo fossi incapace io.
Credendo ciecamente nell'efficacia logica delle mie argomentazioni non capivo perché mia madre non vi ottemperasse e mi irridesse ogni volta che poteva svuotando di autorità quel maschile cui era lei per prima a dare potere sentendosi obbligata a entrare in competizione con un bambino che era suo figlio e che lei trattava come un maschio adulto che avocava a sé la forza della ragione non già per il suo argomentare per per un'autorità maschile che mi era del tutto estranea.
Non è colpa mia se sono maschio in una società che privilegia i maschi.
Dal mio canto ho sempre ritenuto che l'handicap sociale dell’omosessualità compensasse il privilegio di default che il mondo mi dava in quanto maschio.
Vero è che non ho mai imparato a tacere e fare uscire mamma dai gangheri era la mia magra soddisfazione per una mancanza di riconoscimento, non già di me, ma della forza razionale delle mie argomentazioni.
Che le discussioni vertessero sui massimi sistemi, che si trattasse di Einstein o di planetologia (ne leggevo già in quinta elementare), che si trattasse di Raffaella Carrà della quale alle elementari mi sentivo una reincarnazione poco riuscita, o, quando ero già al liceo, se dicevo che l'aids non poteva colpire solamente le persone omosessuali, ma chiunque facesse sesso non protetto, mia madre la pensava sempre diversamente e non rispettava mai quel che dicevo io considerandolo stupido, assurdo, ridicolo, non valido.
Non pensate che mia madre mi irridesse perché non capiva e si sentiva messa in difficoltà.
Mia madre coltivava i propri pregiudizi con una simpatica dotazione di crudeltà.
La stessa che usava quando per esempio mi sfotteva perché da piccolo (ma non così piccolo) avevo ancora paura del buio, e lei prima mi convinceva che non dovessi averne paura, mi esortava a camminare verso il buio, in fondo al corridoio dove avrei trovato l'interruttore della luce e, sempre, a metà percorso, mi faceva buh! e io ritornavo correvo verso la luce urlando.
Me lo faceva sempre.
Prevedibile e ineluttabile come il pallone da rugby che Lucy teneva per Charlie Brown.
Io cercavo di compensare il mio ammanco di autorità, non già maschile, ma tout-court, come potevo. Mi ero anche scelto come alter ego, Ed Straker, il comandante della Shado della serie tv UFO (ho ancora qualche libro che firmai con quello pseudonimo).
Mia madre, dovendo dimostrare l'inconsistente banalità dei miei interessi, mia sfotteva apertamente, ridicolizzando l'autorità di Ed Straker soprannominandolo la biondina.
Io, permalosissima, ci andavo in puzza e mi allontanavo altezzosa. Mia madre, rintuzzando, mi gridava dietro, non fare la biondina!
Ogni volta che mia madre mi chiamava la biondina sentivo premere su di me il giudizio sociale che irrideva alla mia femminizzazione. Come se il femminile non si addicesse a me. Io volevo vestirmene per goder della sua autorevolezza ma anche questo veniva messo in ridicolo.
Anche nella ginecrazia non tutte le femmine sono bene accette.
L'innocente perfidia di mia madre aveva sempre la meglio, erano cattiverie da grandi che lei si divertiva a infliggermi con la leggerezza di chi tanto pensa che da ragazzini tutto passa e nulla conta.
Spesso interveniva zia Clara a difendermi quando era testimone della mano pesante e gratuita che mia madre a volte aveva con me.
Non contraddire così il bambino le diceva zia mentre io me ne ero andato in lacrime ma sentivo bene quel che aveva da dirle.
Mia nonna taceva ma poi quando mamma non c'era (che lavorasse o che fosse in viaggio) mi sosteneva con aiuti nascosti.
Quando si trattava di fare delle cose fuori casa non era a mamma che informavo ma nonna.
Fu a lei che chiesi il permesso e i soldi per andare a vedere il mio primo concerto. Avevo 15 anni, il concerto era di Ornella Vanoni, al Sistina.
Era sempre a nonna che chiedevo i soldi per i primi dischi o i primi libri, quelli che mia madre, consigliata anche da zia Clara, voleva che io buttassi, perché occupavano spazio.
Questa ginecrazia mi era comunque congeniale, perché nonostante mia madre, era molto meno violenta, meno feroce, del potere maschile.
Un potere del quale avevo avuto un primo sentore quando avevano ammazzato Pier Paolo Pasolini. Nonostante avessi solamente 10 anni era chiarissimo quello che era successo a Pasolini.
Era quello che succedeva a ogni frocio che non si dava una regolata.
Pasolini ammazzato per me fu il correlativo oggettivo del rischio che avrei corso io se invece di vivere in un consesso di donne mi fossi dovuto confrontare con dei maschi, ottusi, assassini e prepotenti che prima te lo mettono in mano e poi ti ammazzano perché il frocio sei tu e non ti puoi nemmeno lamentare perché te la sei cercata.
La violenza dei commenti in tv e sui giornali era palese anche agli occhi di un bambino di 10 anni.
Beh forse al bambino che ero io a 10 anni. Non saprei dire.
Per questo non tollero che di Pasolini si dica che è morto.
Perché Pasolini non è morto ma è stato ammazzato, dagli uomini, dai maschi.
Per cui ...ginecrazia a vita!, anche se al comando c'è mia madre, abbastanza meschina da propormi di usare dei piatti e delle posate separati, per il mio solo uso, per proteggere non lei ma mia sorella dall'aids, che, si sa, colpiva solamente quelli come me.
La Nemesi poi di aids ha fatto morire lei.
E pensare che c'era chi si chiedeva come avessi preso la sua morte...
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