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Come fosse la prima volta.

La prima volta che ho capito che mi piacevano  i ragazzi ero in terza elementare, quando mi presi una cotta per Marco, un compagno di scuola, bruttino e biondo.

Che mi piaceva Marco lo avevo capito mentre scendevo le scale e lui le saliva.
Uno sguardo su di lui, distratto e casuale, e mi fu subitaneamente chiaro.
Mi piaceva quel ragazzino e desideravo stare con lui, vicino a lui, a parlare con lui.

Quando dico che mi piaceva Marco non mi sto riferendo al desiderio sessuale. E non perché non la conoscessi ancora. La curiosità anatomica per i ragazzi  mi aveva già travolto con tutta la sua emozione.

Prima c'era stato il turbamento per  un disegno di un uomo nudo in una enciclopedia di oceanografia.
Poi c'era stato quel primo approccio con Luca, con quella calzamaglia del costume di Robin Hood che evidenziava il rigonfiamento del suo pisello, una calamita per le mie mani.
E poi quel ragazzo più grande, in villeggiatura,  che mi aveva salvato da un girotondo con dei ragazzini e mi aveva portato nel mondo adulto del minigolf e io che cercavo un modo per avvicinarmi a lui senza trovarlo...
E poi una volta  in classe mi ero messo a giocare con un compagno di banco. Facevamo che lui era il gigante e io l'essere umano. Mi rappresentavo piccolo con due dita della mano e con quelle camminavo sulla sua gamba, apprezzando la sua gigantezza, e intanto arrivavo piano piano fino alla patta. Il mio compagno di banco si lasciava fare.
Quando mi accorsi che un altro  ragazzino ci guardava con aria troppo interessata, temendo di essere interrotti, contro ogni mia cautela gli avevo detto di andarsene via con un tono che mi era sembrato brusco e aggressivo. Mi sorpresi di quell'aggressività a me sconosciuta che mi era scaturita dalla potenza di una fantasia finalmente realizzata.

Il mio interesse per Marco non era "sessuale".

Quella curiosità era ancora generica e generalizzata.
L'interesse per Marco era invece unico e specifico. Non perché Marco fosse un ragazzino. Ma perché era Marco. Certo l'essere ragazzino faceva parte delle cose che Marco era, ma... ci siamo capiti, no?

Ricordo nitidamente il movimento dei suoi capelli a caschetto mentre ci incrociammo sulle scale di scuola. Lui che mi guarda con quella sua espressione sempre un po' triste, minuto e bassino, così adorabile e io che in un secondo realizzo che mi piace lui. Lui e basta.
Marco piace a me, solo a me. Solo lui. Mi commuovo che la mia esclusività sia per lui.

Marco ignorava i sentimenti che mi suscitava e io non avevo nessuna intenzione di dichiararmi.

Ero ancora in quella fase di scoperta dove sei geloso di condividere con gli altri le cose che ti piacciono perché ti definiscono e ti distinguono e non vuoi rischiare di sminuirle scoprendo che sono anche di altri.
Mamma non mi aveva mai incoraggiato a condividere. L'ho imparato da solo col tempo, e grande fatica.
A mia difesa posso dire che prima di condividere bisogna conoscere bene le proprie passioni.

Da allora, ancora oggi,  ogni volta che scopro che c'è qualcuno che mi piace, al quale vorrei donare la mia esclusività, mi commuovo come quella prima volta.
Mi commuovo come fosse la prima volta che scopro che mi piacciono i ragazzi.
I ragazzi. Non c'è niente di più al mondo che vorrei mi piacesse.

Capirete perché non mi sono mai vergognato del mio omoerotismo.
Era una cosa mia che mi distingueva e mi definiva. Lo ribadisco  ancora oggi con lo stesso entusiasmo.
Perché è vero che non scegli quale sesso ti piace.
Però come reagisci alla scoperta che ti piacciono i ragazzi quello sì che te lo scegli.
Puoi abbracciare quella scoperta, nasconderla, tollerarla, amarla, sopportarla, difenderla, sostenerla, rassegnartici, detestarla, proteggerla, venerarla, averne paura, negarla, non averne mai abbastanza, combatterla, esserne ossessionato, trascurarla, coltivarla, odiarla, schernirla, mitigarla, esserne disgustato, non averne mai abbastanza, giustificarla, dissimularla. Commuovertene, anche.

Io me ne commuovo ogni volta come fosse la prima volta.

Ogni volta che mi piace un ragazzo io sono di nuovo lì sulle scale di scuola davanti a Marco che mi guarda, ignaro che dentro di me si sta dando un party in suo onore.

Non mi sono mai chiesto se i ragazzi mi ricambiassero o no. Se ne dubitavo  il mio dubbio  non ha mai avuto a che fare con l'orientamento sessuale, ma direttamente con il mio (in)successo interpersonale.
Se non piaccio a Marco non è perché io sono un ragazzo e a lui non piacciono i ragazzi, ma perché non gli piaccio proprio io...

Come ho già avuto modo di dire non ho mai avuto particolari problemi a farmi storie con ragazzi etero.
Sarà che con loro sperimentavamo liberamente il sesso e i sentimenti senza strade precostituite e senza precluderci nulla.

I miei dolori negli amori hanno sempre riguardato ragazzi gay coi quali era impossibile sottrarsi al confronto della seduzione. Si entrava in competizione e io non sono mai stato bravo nelle gare. Ho sempre perso, come Mina a Sanremo. Anche perché normalmente il premio che ricevi riguarda la tua fama di seduttore mentre per me, semmai, il premio è essere riamati.

Non mi sono mai addormentato così spontaneamente tra le braccia dei miei amici gay come tra quelle di Fabrizio, il mio amico del cuore etero, che sapeva tutto di me, anche che mi ero preso una cotta per lui,  come io sapevo tutto di lui che la cotta per me non l'aveva.

Eppure non c'era bisogno di fare nessuna precisazione se ci abbracciavamo per scaldarci mentre aspettavamo l'autobus notturno (la sua cinquecento beige era rimasta senza benza) non dovevo rassicurarlo che non ci stavo a provà.

A Fabrizio non dovevo spiegare che, anche se ero gay, non ci avrei provato in automatico, proprio come certi ragazzi etero ci provano in automatico con tutte le ragazze.

Quando ho scoperto che anche i ragazzi gay fanno lo stesso  stato colto da una delusione che si è trasformata ben presto in rabbia.
I ragazzi che amano i ragazzi saranno anche froci magari, ma sono sempre maschietti, sono sempre in linea col patriarcato.

E' per questo che detesto quando certi ragazzi gay che, di qualcuno che piace loro, si chiedono sarà gay? come se la l'orientamento sessuale comune costituisca  una qualche garanzia di affinità e successo sessuale (o sentimentale).

Io mi sono sempre fatto l'unica domanda davvero importante: Ci sta? Ci viene a letto con me? 

Chiedersi se è gay significa che ti aspetti che lui ci stia con te non già  perché gli piaci tu  ma perché lui è un gay e ai gay piacciono i maschi e quindi anche tu.

La categoria, non la persona.

Tu come tanti altri.
Lui come tanti altri.

Una intercambiabilità depersonalizzante e deresponsabilizzante di fronte la quale vacillo sempre un po'.

Le mie storie intessute coi ragazzi etero invece, proprio perché erano etero, mi sottraevano dalla categoria favorita e mi annoveravano in quella delle eccezioni.
Se li interessavo era perché ero io non perché ero un maschio. E se non li interessavo fino a quel punto non voleva dire non erano interessati a me tout court, ma solo fisicamente.
E io che ho sempre pensato che rifiutassero la mia essenza e non la mia parvenza.

Lo avessi capito prima mi sarei evitato tanti dolori.


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