Attenzione, work in Progress!
Rileggete i post che avete già letto. Li potreste trovare modificati.

Visualizzazioni totali

Col cuore rotto.


Sono davvero passati molti anni dalla mia storia con Andrea, il mio primo amore, il mio primo fidanzato.

Avevo 15 anni, facevo la prima liceo, Andrea era il mio compagno di banco e di letto.

Ci conoscevamo dalle medie e usavamo sedere allo stesso banco già allora.

Il sesso mi conosceva già da un po'.

Le prime erezioni e i primi orgasmi, con annessi e connessi, li avevo sperimentati a 12 anni, prima con Graziano e Marco, due vicini di casa di un anno più grandi di me, e poi con Ercole, un compagno di classe delle medie col quale facevo qualcosa a casa di sua nonna, che era vicino casa mia. Qualche volta insieme, ma di solito individualmente.

A quell'età l'impedimento non è l'inesperienza ma la mancanza di un posto tranquillo dove farlo, con calma.

Non mi è mai piaciuto il sesso mordi e fuggi, quello da battuage, tra maschi, nei parchi, o, peggio, nei cessi.
Quello lo conoscerò a malapena molto più in là, quando avrò superato la soglia dei trenta.

Mi è sempre piaciuto fare sesso senza fretta, con la giusta atmosfera, un letto comodo, la musica adatta e tanto tempo per noi, mentre il mondo resta chiuso fuori,  una serranda complice che lascia trapelare la luce quanto basta. Sembra una canzone di Conte, anche se allora le sue canzoni non le conoscevo ancora.

Con Graziano, Marco e Ercole non c'erano sentimenti coinvolti.
Era del buon sesso, fatto con dei ragazzi che si facevano convincere e guidare dal mio entusiasmo, prima con riluttanza poi con sempre più disinvoltura.
A Graziano piacevano le ragazze, di Marco ed Ercole non sono sicuro.

Di Andrea invece mi ero proprio innamorato. Fin da subito credo. Da prima che iniziassimo ad andare a letto.

Mi ricordo la reticenza del primo sesso tra di noi, quando avevo assecondato la sua inesperienza, fingendo fosse anche la mia, perché temevo la mia scaltrezza potesse mettermi in cattiva luce.

Remore borghesi di un ragazzino alla sua prima cotta (e se mi ritiene un'assatanata?).

Io e Andrea non avevamo nulla dei ragazzini gay di oggi che a 15 anni vestono già i colori dell'arcobaleno e conoscono Lady Gaga a memoria (Born This Way).
Noi eravamo nati a modo nostro e trascorrevamo il nostro tempo sociale tra la biblioteca (Fondazione Besso, alla quale entravamo con un permesso speciale) e lo studio dell'astronomia.

Eravamo entrambi astrofili e ci accontentavamo di osservare le costellazioni dal terrazzo di casa dei miei, tra mappe stellari e manuali di osservazione e un paio di binocoli che usavamo per osservare le Pleiadi, Orione, Cassiopea.

Eravamo davvero legati e ci impegnavamo tanto in lunghe discussioni sul Big Bang, sulla fisica delle particelle quanto in altrettanto lunghe sessioni di sesso.

A ripensarci adesso mi sorprende riuscissimo a spendere interi pomeriggi nella mia stanza, la casa tutta per noi, con la certezza  di avere ore a disposizione. Dove andavano i miei per tutto quel tempo?
Mi meraviglio non ci abbiano mai sorpreso.

Osservavamo la volta stellata ogni volta che potevamo, anche a Roma, nonostante l'inquinamento luminoso.

Di solito salivamo in terrazzo dopo cena e vi rimanevamo fino a mezzanotte.

A volte, non sempre, succedeva che facessimo anche altro.

D'accordo, il posto non era dei più comodi, ma fare l'amore era per noi una cosa naturale e spontanea quanto osservare le stelle. Perché privarcene?

Fu proprio lì che, una sera, Andrea volle usare per la prima volta la penetrazione da insertivo, con me.

Fino a quel momento l'avevamo usata poco e lui era sempre stato il ricettivo.

A me la penetrazione non ha mai interessato particolarmente, troppo meccanica, troppo macchinosa, troppo procedurale per essere davvero spontanea in both way.

Mi ricordo che una volta alla tv io e mamma avevamo visto insieme, per caso, un documentario su David Bowie nel quale si accennava alla sua bisessualità. L'argomento aveva reso mia madre speechless. Io ero imbarazzato del suo silenzio e per scongiurare l'assordante mancanza di parole le chiesi ma come fanno l'amore due uomini? e mia madre mi aveva risposto il volto terreo  usano l'ano.
A me la cosa era sembrata un'idea bizzarra come a volersi incaponire a cercare di fare qualcosa che l'assortimento sessuale tutto al maschile ti dispensava dal fare. Che bisogno c'era di trovare un surrogato quando ci sono tantissime altre cose che si possono fare?
    
La richiesta di Andrea mi era apparsa davvero franca e non avevo motivo di dirgli di no.

Immaginatevi un terrazzo condominiale, nel mese di Novembre, noi con cappelli e sciarpe e guanti per proteggerci dal freddo che senti quando resti immobile a osservar le stelle,  due sdraio portate su da casa, qualche bibita bollente nel termos,  per riscaldarci,   i nostri manuali a portata di mano, una torcia con un filtro rosso per poter leggere i manuali senza abbagliarci la vista.

E poi immaginatevi noi che lo facciamo, nella posizione più scomoda, io in piedi, il busto flesso in avanti, le braccia poggiate sulla ringhiera, le gambe leggermente divaricate e Andrea dietro di me che cerca di entrare...

Nessun lubrificante a disposizione. Nessuna mia precedente esperienza, quella era la mia prima volta da ricettivo, la sua prima volta da insertivo.

Succede che c'è una perdita di sangue.

Nulla di quello che potete pensare voi.

Non sono io a perdere sangue, è Andrea a perderlo, dal frenulo, che, nello sforzo penetrativo, si era  strappato di un millimetro.

Lo spavento lo fa vomitare.

Un  getto copioso che segue di poco quello di sangue. Per fortuna finiscono presto entrambi.

Io mi ricompongo e scendo in casa per prendere qualcosa per pulire.

Mamma è sospettosa, come al solito.

Non credeva molto ai nostri incontri astrofili.

Solo una mente sospettosa può pensare che fra tutte le scuse possibili per fare sesso due adolescenti possano accampare l'astronomia...

Mia madre era fatta così.

Una sera era addirittura salita col vassoio delle grandi occasioni e del the caldo sperando di sorprenderci in chissà quali faccende affaccendate e invece ci aveva trovati lì dove dovevamo essere, sulle sdraio, a osservare le Pleiadi...

Ricordo il suo disappunto, la delusione per non avere avuto il giusto tempismo.

Come se mia madre non sospettasse ma sapesse che io e Andrea facevamo l'amore,  che per lei, immagino, era del sesso penetrativo.

Invece no mamma, io e Andrea facevamo tante cose, ma il tuo figlio invertito (lessico suo) non lo aveva ancora preso.

Per fortuna quella sera mia madre non era salita.

Mentre prendo secchio e straccio le spiego, non so con quanta convinzione, che, nel buio, avevamo versato il te...

Lei non si offre di aiutarmi.

Salgo più veloce che posso.

Andrea nel frattempo si è un po' ripreso.

Io cerco di rassicurarlo, lo voglio abbracciare, ma lui evita il contatto.

Incolpa me dell'incidente. Sono io il frocio che lo ha convinto e sedotto.
Non lo dice ma lo pensa. Lo so.

Se ne vuole andare via subito.
Non vuole nemmeno che lo accompagni.

Solo dopo che ho pulito tutto il suo vomito, il sangue per fortuna è rimasto assorbito dagli abiti, solo dopo che ho ritirato le sdraio dal terrazzo  solo dopo, quando raggiungo finalmente  camera mia, mentre mi spoglio mi accorgo che i miei slip, di un bianco immacolato, dietro, sono sporchi di sangue.

Non so perché,  mi viene in mente subito il fazzoletto sporco di sangue del Garofano rosso di Vittorini.

Decido di conservare quelle mutande come ricordo e le nascondo nella mia cassaforte, tornando e ritornando a quella traccia biologica che attestava quello che era successo, che era solamente nostro, mio e di Andrea.

Non so come mia madre venne a sapere di quelle mutande e arrivò alla stessa conclusione che sarebbe stata anche la vostra se non vi avessi dato modo di non cadere in errore.

Il sangue era mio e con Andrea avevo fatto la donna. Usò proprio quella espressione. 

Quanto avrei voluto vomitare come aveva fatto Andrea quella sera.

Ero imbarazzatissimo della scoperta di mia madre, ma non per quello che le mutande mostravano.

Ritenevo infantile  che avessi tenuto le mie mutande col sangue di Andrea come ricordo.
Temevo che quel mio gesto puerile sminuisse la nostra storia, il  nostro amore, il nostro stare bene insieme, in tanti modi diversi.

E poi, nel profondo, ero imbarazzato perché tenere  quell'indumento macchiato di sangue come prova della perduta verginità faceva di me, nella mia  testa, una giovane ragazza deflorata. Ora, nonostante quelle mutande dimostrassero in qualche modo il contrario, io non mi sentivo donna, e non era da donna che volevo essere legittimato a fare l'amore con Andrea.
Era da uomo, da ragazzo, insomma, da quello che ero che avevo il diritto a farlo.

Ma se l'unico modo di fare l'amore con lui era quello di diventare donna, qualsiasi cosa questo volesse dire, allora no, non volevo più andare. aletto con lui...

Quel sentimento di avversione per la mia donnificazione mi sconfisse completamente perché dimostrava che anche io come tutti gli altri froci,  odiavo le donne.

Una sedimentazione di cliché che non ero riuscito a scrollarmi di dosso e sotto la quale invece soccombevo mio malgrado, cadendoci dentro con tutte le scarpe.

Non ne parlai con Andrea.

Mi vergognavo di dirgli del souvenir; soprattutto, temevo la mia donnificazione gli sarebbe stata congeniale.

Buttai quelle mutande maledicendole per tutto l'imbarazzo che avevano causato.

Con Andrea continuammo le nostre esperienze insertive.

E nonostante la lubrificazione casalinga i primi mesi furono come quelli di Jane Birkin con Joe Dallessandro in Je t'aime moi non plus (Francia, 1976) di Serge Gainsbourg.

Poi le cose migliorarono.
Ma il sesso penetrativo rimase più un lavoro (a task) che altro per me...

Con Andrea la storia finì, all'improvviso. All'incirca un paio di anni dopo quell'incidente.

Mi disse che per lui il sesso con me era stato un'amplificazione della masturbazione. Comodo no? Cambiò sezione e in una scuola di 1300 studenti non lo incontrai più.

Non lo cercai più, anche.

Col cuore rotto (ehehe) abbandonai l'astrofilia, e mi iscrissi al laboratorio di teatro del liceo spiegando che era finita una storia d'amore importante e che volevo raccogliere i cocci.

Il conduttore del laboratorio sgranò gli occhi e mi disse se raccogli i cocci a diciassette anni a quaranta che fai?

Ho raccolto altri cocci, Roberto, e il cuore si è rotto ancora...

Commenti